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di DOMENICO LOGOZZO
«Non c’è niente da fare. Il presente è vuoto. Il futuro è nero». Quante volte abbiamo sentito i ragazzi del Sud rispondere sconsolati e sfiduciati a chi chiedeva loro un giudizio sulla condizione giovanile nell’area estrema della penisola! Troppe promesse non mantenute. Troppe umiliazioni. L’assistenzialismo parassitario come unica forma di “presenza deviata” dello Stato in regioni dove l’anti-Stato fa e disfà. Distrugge. Siamo arrivati ad un punto estremo. Quello del non ritorno. Il baratro è vicino. E alto si è alzato il grido d’allarme del presidente Napolitano in occasione del discorso di fine anno. Preoccupazione legittima. Analisi lucida. Altro che “lieto vivere collettivo” furbescamente propagandato per nascondere una verità ben diversa, quella dei giovani alla disperata ricerca di un lavoro onesto. Non quello disonesto e infame che purtroppo offrono la mafia, i politici e gli imprenditori corrotti nel Sud del Sud: arricchimento immediato e illecito, con la violenza e l’inganno. «Riprendetevi il vostro futuro. Non fidatevi e ribellatevi. Pacificamente, democraticamente, senza scorciatoie, ma fate sentire la vostra voce», ha scritto domenica il direttore Matteo Cosenza, invitando i giovani ad essere protagonisti attivi di una mobilitazione collettiva, che dalla piazza virtuale della rete, si trasferisca nella realtà. Incontrarsi e confrontarsi. Guardarsi in faccia e decidere «nuove forme di impegno politico». Scegliere, non farsi imporre ancora una volta le scelte scellerate. Il 25 settembre 2010 il “Quotidiano” è riuscito a portare in piazza a Reggio Calabria decine di migliaia di calabresi, per dire no al potere mafioso. Una manifestazione che ha dato i suoi frutti positivi. Perché non riproporre un’altra iniziativa del genere rimettendo al centro dell’attenzione nazionale l’”emergenza giovani”? Ripartire dalla Calabria. E questo per dare seguito alle parole di Napolitano, che ha citato innanzitutto l’incontro con i giovani di Reggio Calabria, avvenuto un anno fa. Giovani che hanno evidentemente saputo “illustrare” al capo dello Stato una situazione di profonda disperazione e crescente amarezza: le istanze di crescita civile e sociale colpevolmente ignorate. Il riferimento a Reggio Calabria, ai nostri ragazzi, è un segnale preciso, un invito a recepire e risolvere i problemi dei giovani della nostra regione. Ripetiamo, non a caso Napolitano ha ricordato l’incontro con la realtà giovanile della più emarginata regione d’Italia. Un segnale netto e chiaro. La classe politica che decide le sorti della Calabria è stata investita del problema. Un richiamo autorevole dalla più alta carica dello Stato. La risposta degli uomini politici, degli imprenditori, delle organizzazioni sindacali, degli esponenti della cultura e della Chiesa, debbono essere immediate e reali. Non fumose, come è avvenuto nel lontano e nel recente passato. Napolitano ha voluto dare anche un netto segnale di fiducia ai nostri giovani “senza futuro”. Una iniezione di speranza, contro il pessimismo dilagante. Non abbattersi. Reagire. Insistere nelle azioni positive. Proporre. Mettere le belle intelligenze al servizio del bene comune. La voce del presidente della Repubblica contro l’isolamento ed i silenzi, contro i falsi ottimismi e le ambiguità, non può cadere nel vuoto. Per tanti, troppi motivi. A partire dalla convivenza civile. Più occupazione meno mafia; più legalità, meno soprusi. E’ ora di dire basta alle ingerenze politico-mafiose nel progetto di sviluppo della Calabria. Non sono tollerabili “zone grigie”, più volte denunciate, anche in occasione dell’anniversario dell’uccisione del vicepresidente del consiglio Regionale della Calabria, Francesco Fortugno. Autorevoli esponenti politici e onesti servitori dello Stato in quella occasione hanno sottolineato l’alto valore della legalità e il procuratore nazionale antimafia Grasso, si è soffermato particolarmente sul ruolo delle giovani generazioni nella costruzione della società del futuro. Un appello al rispetto delle regole e un invito a prestare la massima attenzione alle aspettative e alle proposte dei nostri ragazzi. Un interesse appassionato, che gli studenti che affollavano il palazzetto dello sport hanno apprezzato e capito fino in fondo. Il dubbio è purtroppo un altro: chi ha istituzionalmente il dovere di mettere in atto “la svolta”, ha capito? Saprà e vorrà farlo? E’ in effetti questa la “partita del futuro” che non si può e non si deve perdere. I giovani calabresi debbono evitare di farsi ingabbiare dal fatalismo che i “pessimi maestri” cercano di diffondere, per impedire il cambiamento. «Non c’è niente da fare», è un alibi per coprire l’incapacità e per giustificare l’immobilismo. Basta. Bisogna avere la forza ed il coraggio di invertire la rotta. Ci sono le capacità, ci sono le belle intelligenze, c’è una cultura del fare che lotta contro il non fare e che va sostenuta. Ci sono giovani brillanti che vanno incoraggiati. Intelligenze colpevolmente trascurate. Avere la forza di recidere il male. I giovani calabresi, sanno valutare e decidere. Da sempre. A questo proposito ci sembra opportuno riproporre quello che in “Quasi una vita” scriveva nel 1938 Corrado Alvaro: «Al mio paese, i ragazzi rappresentano l’opinione pubblica: approvano, fischiano chi sgarra, tirano sassi a chi fa il prepotente. Sono i primi ad avvertire le mancanze e le debolezze del mondo adulto. Sono esatti e crudeli nei loro giudizi. Essi accettano e tollerano nei giovani e nei poveri ciò che condannano nei vecchi e in quelli di una certa condizione». Una testimonianza che fa riflettere sul ruolo dei ragazzi calabresi della prima metà del Novecento e che oggi deve rappresentare un’utile riflessione contro le disuguaglianze e le colpevoli discriminazioni.
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