4 minuti per la lettura
di ENZO ARCURI
C’è una domanda che segna i giorni, i mesi, gli anni, i decenni di chi si affanna a sbarcare, come si dice, il lunario in questo estremo lembo della Penisola, la regione peggio messa del continente europeo. I poco più di due milioni di cittadini, neonati e centenari compresi, che si ostinano a restare al di qua del Pollino, ancora adesso, quando sta per concludersi il primo decennio del terzo millennio, si chiedono cosa ci sia nel futuro della loro regione, si domandano se mai accadrà il miracolo di una radicale inversione di tendenza, che chiuda una lunga stagione di tribolazioni e penitenze ed apra finalmente la fase dello sviluppo, del lavoro, della piena occupazione, eccetera, eccetera. I calabresi continuano a porsi questa domanda e sanno che la risposta non dipende soltanto dalla loro capacità progettuale e di iniziativa, sanno che certamente non possono chiamarsi fuori e che la loro parte devono farla per intero e fino in fondo, ma sanno anche che sono parte di un contesto più ampio ed articolato, da cui non si può prescindere e con il quale bisogna confrontarsi e coniugarsi. Un sistema complesso che per la verità in tanti anni non li ha agevolati, se li ha aiutati lo ha fatto per il proprio interesse, preoccupato di salvare un equilibrio assai fragile, costruito nel tempo sul sacrificio di intere generazioni sradicate dalla loro terra che è stata privata delle energie migliori ed è diventata così più povera, contribuendo, viceversa, allo sviluppo ed al benessere di altre regioni in giro per la Penisola, per il continente, per il mondo. Sono verità amare, ancora purtroppo presenti nella quotidianità del nostro tempo, un nuovo millennio iniziato come si era concluso quello precedente, segnato ancora dall’emorragia questa volta non delle braccia (come nel secolo passato) ma dei cervelli, una ferita quasi mortale inferta ad un contesto sociale già duramente indebolito. Tutto questo non va dimenticato soprattutto se quella domanda non vuole essere retorica ed una risposta in qualche misura positiva può essere data. Ed allora ci sarà mai questo miracolo calabrese? Chi lo può dire, non c’è sfera di cristallo che possa predirlo, anche perché a chi promette il cambiamento, ottiene il consenso e conquista il potere, capita spesso di perdere di vista gli obiettivi, di smarrirsi nel labirinto dei compromessi, dovendo fare i conti con la complessità dei problemi, con la durezza della realtà, con le mille insidie di un contesto difficile. La cronaca di tutti i giorni è testimonianza dei fallimenti e delle sconfitte di una regione drammaticamente segnata dal disagio e che rischia adesso di perdere anche piccoli spazi di civiltà faticosamente conquistati nel corso dei decenni passati. Pensiamo, per esempio, ai punti nascita che dovrebbero essere soppressi negli ospedali di montagna con tutto quello che ne consegue per la salute di tante donne e di tanti neonati. In Calabria in questi giorni è stata riscoperta e rilanciata la vocazione mediterranea della regione con interessanti iniziative di confronto e dibattito a più voci e con la firma di protocolli di intesa con paesi della sponda sud del Mediterraneo, per esempio alcune regioni dell’Egitto. Questo della cooperazione fra la Calabria ed i paesi della riva sud del Mediterraneo è un tema di forte impegno soprattutto per le molte straordinarie opportunità che, per la sua posizione geografica, si offrono alla regione nel rapporto fra l’Europa e le economie emergenti nel medio oriente e in Asia. Ma per cogliere queste opportunità la Calabria deve superare alcune sue criticità, che coincidono con il mancato ammodernamento del suo contesto. Inadeguatezza delle infrastrutture, sia materiali (strade, ferrovie, porti ed aeroporti ) che immateriali (le cosiddette autostrade virtuali), rischio idrogeologico che, come è risaputo, colpisce larga parte del territorio regionale, difesa delle coste dall’erosione del mare, strutture tecnico-burocratiche elefantiache e pasticcione, che rendono la pubblica amministrazione ostile per ogni processo di sviluppo, soprattutto intollerabile presenza della criminalità organizzata, che, se anche opera ormai in pianta stabile nelle regioni ricche del Nord, ha qui, tuttavia, le sue radici e la sua “mente” ed infesta aree sempre più vaste della regione. Sono mali che hanno finora impedito alla regione di cambiare rotta e che rischiano adesso di farla morire economicamente e socialmente. E dunque è su queste criticità che si misurano la capacità e l’impegno di una classe dirigente che deve potere contare, naturalmente, sul sostegno di tutta la comunità. Ed è risolvendo questi nodi che si può tentare di rispondere a chi chiede e si chiede se la Calabria prima o poi, più prima che poi, ce la possa fare. E si darà un senso anche a tutte le iniziative che si propongono di fare della Calabria una regione strategica nell’area mediterranea anche in rapporto all’Europa. Altrimenti tutto rischia di essere la solita retorica, il solito bla-bla-bla, la solita, ulteriore presa per i fondelli.
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA