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Il pm Mario Andrigo è stato ascoltato per circa 5 ore ieri, in Corte d’assise d’appello a Reggio Calabria, nel corso della requisitoria del processo d’appello per l’omicidio Fortugno, avvenuto il 16 ottobre del 2005 a Locri. Nel corso della requisitoria sono stati affrontati aspetti legati alle testimonianze e alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Il processo, proseguirà il prossimo 16 dicembre, con lo stesso pm Andrigo, quando è previsto, tra l’altro, l’esame dell’alibi di Giuseppe Marcianò. L’intervento dell’accusa si concluderà il 20 dicembre con il Sostituto Procuratore generale Fulvio Rizzo.
Ha rinunciato ad assistere al processo fin dalla prima udienza invece, Vincenzo Cordì (in foto a sinistra): “Non per mancanza di rispetto, ma perché io sono innocente”; così nella sua veloce apparizione, collegato in videoconferenza da Terni, tiene a precisare la sua scelta, prendendo la parola per rendere alcune dichiarazioni spontanee prima dell’inizio della prima parte della requisitoria della Procura Generale. Poi Cordì, condannato in primo grado a dodici anni di reclusione, dedica i minuti concessi dalla Corte a dipingere con termini poco lusinghieri, la figura di Domenico Oppedisano (in foto a destra), il collaboratore di giustizia ascoltato in aula nel corso della scorsa udienza.
Oppedisano è il fratellastro di Salvatore Cordì, assassinato nel 2005 e racconta di aver deciso di collaborare proprio perché sarebbe stato invitato a testimoniare il falso nel processo a carico di Michele Curciarello e Antonio Martino, presunti responsabili dell’omicidio.
Ma anche sulla definizione di “fratellastro”, Vincenzo Cordì non è d’accordo: “La famiglia Cordì – dice l’imputato – è composta da Domenico, Antonio, Cosimo, più la sorella di mio padre. Questi sono i Cordì, non quelli che dicono Oppedisano e Novella, ma persone perbene, rispettose e dedite alla famiglia”. Su Oppedisano invece: “Non sappiamo nemmeno da dove arrivino questi Oppedisano – dice con rabbia Vincenzo Cordì – facciamo delle analisi e vediamo se c’è sangue dei Cordì in questo tizio. Oppedisano non è nenti, non è affidabile, altro che fratellastro, non si può paragonare a noi, è uno che ha sempre pensato ai soldi e alle donne, anche la sua donna e sua figlia lo hanno abbandonato”.
Cordì, parla anche del collaboratore di giustizia Domenico Novella: “Si è pentito perché aveva paura del carcere. Io lo conoscevo solo di vista”. Vincenzo Cordì è figlio di Domenico Cordì, assassinato nel 1967, nel corso della celebre strage di Piazza Mercato, pagando con la vita uno sgarro fatto a don ‘Ntoni Macrì, boss di Siderno, uno degli uomini più carismatici che la ‘ndrangheta abbia mai avuto.

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