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di Gaetano De Filippo HO avvertito una grande gioia, non disgiunta da una fortissima emozione nel rivedere finalmente libera il premio Nobel per la pace, la birmana Aung San Suu Kyi. Mi ha meravigliato molto la serenità e la forza che la sua persona trasmette. Seppure sprigionate da un corpo minuto e fragile, non lasciano minimamente trasparire le privazioni, i dolori, i traumi ed i drammi che nella sua difficile vita ha dovuto subire. Il fatto di essere cresciuta senza il padre, che perse quando aveva soltanto due anni; di non aver potuto correre al capezzale del marito morente (altrimenti non avrebbe più potuto far ritorno in patria); di aver praticamente vissuto tra il carcere e gli arresti domiciliari fin dal 1989; di non aver potuto esercitare la sua funzione di madre e di non aver goduto della costante presenza dei figli, considerato che i vari provvedimenti detentivi le vietavano di incontrare anche i familiari più prossimi. Tutto ciò non l’ha spezzata, né piegata, ma neanche minimamente scalfita. Ella è un esempio di coraggio e di coerenza. E’ una persona che, per usare una definizione talvolta abusata, “ha saputo tenere sempre la schiena dritta”. Non ha mai ceduto ai ricatti del regime militare birmano, che ripetutamente le aveva offerto la possibilità di lasciare la Birmania alla sola condizione che le sarebbe stato negato il ritorno a Myanmar, seppure consapevole che la permanenza in patria significava subire persecuzioni e detenzione. Consapevole altresì della circostanza che il suo posto era tra il suo popolo e che la sua missione doveva svolgersi a fianco della sua gente bisognosa. Né è mai scesa a patti con i suoi principi e le sue idee che l’hanno indotta a trasformare la sua esistenza in una sorta di missione a favore del popolo birmano e degli ultimi. Ogni atto, ogni gesto, ogni pensiero, ogni risorsa spirituale e materiale (compreso il denaro riveniente dal premio Nobel, speso per realizzare un sistema di istruzione e sanitario per il suo popolo) sono stati investiti per migliorare la qualità della vita dei Birmani. Sono stati finalizzati altresì a combattere le ingiustizie che affliggono il mondo e ad affermare i diritti inalienabili della persona umana, che si concretizzano nella libertà, nell’uguaglianza, nella salute e nella dignità. Il tutto da coniugare con il rispetto del principio della non violenza di cui agli insegnamenti del Mahatma Gandhi, dei quali il pensiero e la cultura di Aung San Suu Kyi sono fortemente impregnati. La sottrazione del potere, conquistato democraticamente ed in maniera schiacciante nel 1990, in occasione della vittoria conseguita nelle libere elezioni indette dal regime della sua “Lega Nazionale per la Democrazia”, perpetrato ai suoi danni dal regime militare. La privazione della libertà personale e la sua salute cagionevole non ne hanno scalfito minimamente l’entusiasmo, anzi paradossalmente lo hanno accresciuto in maniera esponenziale. Oltre ad essere stata insignita del Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi è stata destinataria dei premi Rafto e Skharov e le è stata conferita la Medaglia d’Onore, la massima onorificenza del Congresso americano. Chi ritiene che le idee possano essere imbrigliate sottoponendo a detenzione chi le esprime, oppure possano essere annientate sopprimendo chi le esterna, commette un enorme errore strategico. La carcerazione o la soppressione fungono da catalizzatori, dando ancora più forza e più risonanza alle idee stesse. Persino la bellissima affermazione: “Le idee camminano sulle gambe degli uomini” forse andrebbe rimodulata. Esse, infatti, spesso corrono ancora più velocemente quando agli uomini che le hanno concepite viene preclusa la possibilità di camminare.

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