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di SARA LORUSSO
POTENZA – «Facciamo in centro?» E così qualche ora dopo eccola Lucrezia Brienza, al tavolino di un bar, sedici anni e idee chiare su quello che si aspetta dal movimento. Che sia di sinistra lo dice e lo spiega, ma non rinuncia ai distinguo rispetto alle sigle di cui pure ha fatto parte. «Sì, sono di sinistra», cresciuta in una famiglia in cui si va avanti a pane-e-associazionismo. Passa da Togliatti a Livorno con una facilità disarmante, e con lo stesso piglio racconta dei suoi “trascorsi”, militante prima con l’Uds, poi nella Rete, adesso cerca qualcosa di diverso. Rappresentante al liceo classico Orazio Flacco, la vede la “crisi” che a sinistra colpisce la presenza studentesca: «Modalità complesse, mentre dall’altro lato, a destra, c’è un linguaggio più concreto, più accattivante». Ma «non sono stati solo gli studenti a cambiare. Contano la famiglia, la scuola, mancano punti di riferimento solidi». Ho amici di destra, «ma non mi faccio problemi a discutere. Piuttosto, il problema è che accade raramente. Sono pochi i ragazzi impegnati». Rete è una delle realtà consolidate, sindacato studentesco indipendente dai partiti, ma dichiaratamente «antifascista». «Abbiamo provato a costruire qualcosa». Diego Napodano è uno che si ammazza di fatica, si sgola alle manifestazioni, porta in giro il carrellino con gli altoparlanti. Con lui, nella stanzetta del Laboratorio sociale Reset, uno spazio che tiene insieme diverse realtà associative di Potenza, in cui anche Rete è ospitata, ci sono altri ragazzi che hanno voglia di raccontarsi. Non si perdono d’animo se la destra acquista spazio nelle manifestazioni. «Ci sentiamo anche noi responsabili, ma abbiamo anche qualche strumento in meno», dice Giuseppe Genovese, dell’Itc Da Vinci. Spiegano come forse, per la maggior parte dei ragazzi, «sia più facile seguire un leader, accettare e fidarsi, senza riflettere troppo, è meno faticoso». Ma capita – succede ancora – che nelle scuola, i docenti, «un po’ meno punto di riferimento», rappresentino ancora «l’incontro, di quelli che ti mettono – dice Gabriella, tra le più piccole, del Flacco – in condizione di scegliere». Nel movimento, «si è rinunciato al conflitto. Per questo continua a fare presa l’idea che il movimento debba essere trasversale, di destra e di sinistra. Il compromesso è più comodo». Luciano Castrignano, seduto su quel divanetto che ogni tanto ospita cartelloni, colori, apparecchiature prosegue: «Mi interrogo sul perchè non siamo riusciti a fermare il vento della destra, ma non mi sento sconfitto». Radicali, convinti, «compagni». Retaggio del passato? «Qualcosa di più – spiega – Significa che posso mettere nelle loro mani la mia vita» o, più banalmente, che se solo uno ha i soldi per la pizzetta, «ce la dividiamo». Alieni? «Ma no, facciamo vita normalissima». Ancora a sinistra, c’è anche altro. Ci sono altri ragazzi che delle proprie idee non fanno mistero, ma che rispetto al movimento studentesco hanno un approccio diverso. «Conosco Marx e mi sento vicino a madre Teresa di Calcutta. Ecco, questi i miei ideali». Raffaele Laregina è da qualche giorno uno dei rappresentati del liceo scientifico Galilei, candidato in una lista «mista». Sportivo, salutista, unico vizio il cappuccino: «Se c’è da lottare, che senso ha fare battaglie di parte? L’interesse è la Scuola». Proprio in quella scuola il “caso” che ha scosso il movimento. Non era mai accaduto, raccontano, che nell’istituto “rosso” la destra emergesse con tanta forza (la lista “La spina nel fianco” ha ottenuto due seggi). Antonio Tito chiude il quadro degli eletti al Galilei: a sinistra, nei collettivi, «mi oppongo a quel linguaggio aggressivo che noto altrove, io ho un’idea diversa di confronto. Ma non è così facile metterlo in pratica». I ragazzi, lo ribadisce, spesso scelgono per moda, comodità, appeal. Eppure Antonio è di quelli che ancora ci prova; nelle assemblee di classe propone i temi del nostro tempo: «E se uno su cento attiva l’interesse, è una vittoria». Sostenitore del clima partecipativo, Valerio Sammartino rappresentante del Flacco che nell’istituto propone iniziative, «un piccolo contributo alla consapevolezza. Anche se le idee sono contrastanti, ascoltandole, si può capire da che parte stare». La verità è che «spesso scelgono per simpatia», dice Sabrina Pippa, delegata del liceo artistico: «Sono di sinistra, ma so che purtroppo conta poco. E’ vero che la scuola deve stare lontana dai partiti, ma se c’è una protesta, e non ne conosci la motivazione, che scioperi a fare?». E a destra? E’ lì che si raccolgono le posizioni di chi sa di aver infranto un muro. Piervincenzo Lapenna, già lunga carriera di rappresentanza alle spalle, è il primo degli eletti al Galilei, spesso in testa ai cortei. Sa pure che sul fronte opposto lo accusano di manie di protagonismo. «Lasciamo stare, la fatica non vale la pena se fosse questa la motivazione». Passa da un collettivo a una riunione, sfrutta la tecnologia per la campagna elettorale, spiega come loro siano meno “verticali”. Anche Simone Rocco non ha problemi a dirsi di centrodestra nella scuola che ormai è meno “fortino rosso”: «Ma questa cosa può solo fare bene, il confronto serve a crescere. Oggi a scuola anche noi abbiamo credito, abbiamo dimostrato di essere cervelli pensanti, abbiamo scelto di rompere, piuttosto che entrare nel protettorato dei ragazzi di quarto o quinto superiore». Mica semplice, giurano, farlo capire. Se la destra si è sdoganata, aggiunge Rocco, è perchè «ha potuto presentare i risultati, perchè questi studenti sono credibili». «Essere a sinistra, nelle scuole e a questa età – ricorda ancora Simone – è più facile, quasi una tradizione quella corrente. La nostra scelta, quella sì che è coraggiosa». Ecco allora che su questo fronte si dicono sicuri che «lo slogan “né rossi, né neri” deve restare attuale e il movimento apolitico».

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