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di FRANCO CIMINO
Per capire la gravità del comportamento del presidente del Consiglio, occorre richiamare la vicenda di Bill Clinton e, antecedentemente, quella di Richard Nixon, i due presidenti americani che hanno rischiato l’impeachment. La prima trattava di sesso alla Casa Bianca, la seconda di spionaggio politico. Per ambedue le vicende lo scalpore e l’indignazione popolare non riguardava il fatto in sé, sebbene più grave per gli americani risultava il primo. Ma la sua conseguenza. Quella che ha visto i due presidenti mentire. Più grave di ogni fatto è, per l’America moralista, la bugia che i rappresentanti del popolo dicono al popolo stesso. La morale americana non consente la rottura del rapporto di fiducia che lega il leader ai cittadini. E’ su questo rapporto che è nata l’America, il culto della bandiera, l’amore per la nazione, lo spirito di sacrificio ad ogni chiamata. L’America del 900 è andata almeno sei volte in giro per il mondo per fare la guerra. In queste guerre ha perso decine di migliaia di uomini. E centinaia di migliaia sono tornati gravemente menomati. Perché gli americani ci sono andati? Per difendere il Paese, rispondendo ad una chiamata. Quella del presidente, che la nazione rappresenta non solo per il consenso popolare, ma per la credibilità della sua persona. E’ alla parola del presidente che si risponde sì, non alla sua figura istituzionale. Al suo potere. L’Italia non è l’America, e gli italiani non sono gli americani. Ogni paese è infatti figlio della sua storia. E la nostra ci fa molto diversi dalla nazione più potente del mondo. Non ci separa soltanto l’Oceano. Ci separa Dante, il Rinascimento, e il Risorgimento, e la Resistenza. Ci separa il Vaticano, la religione cattolica e il comunismo. Ci separa Napoli e Roma. E il Mediterraneo. E tutti gli straordinari paesaggi che noi abbiamo. E le opere d’arte. E Michelangelo e la Cappella Sistina. Tutte cose che noi abbiamo e che dovrebbero farci più belli e più forti. Ma non è così. Perché l’Italia ha la politica. Una politica che via via negli anni si è deteriorata. A partire dalla fine degli anni ’80, durante i quali una classe dirigente incolta e spregiudicata ha preso il sopravvento su tutto. Anche sulle istituzioni. Le quali, non dimentichiamolo, non sono strumenti neutri. Impalcature edilizie, pilastri scavati sotto la terra ignara del loro fine progettuale. Rappresentano ideali e principi. E le forme, specialmente costituzionali, in cui si incarnano. Il legame istituzioni-ideali s’è rotto da tempo, ancor prima di tangentopoli. In America, invece, questo legame resiste, quasi che sia davvero inscindibile. Lì, la morale viene prima della legge. Sopra di essa c’è Dio, che la ispira e vigila sulla condotta degli uomini. In Italia gli uomini sono giudicati solo per i reati loro ascrivibili, attraverso tre gradi di giudizio. Nell’oltreoceano opulento e potente, gli uomini, tutti, specialmente i potenti, devono rispondere ad altri e più diversi strati di giudizio. Dal primo all’ultimo grado: la famiglia, la legge, l’istituzione rappresentata o il ruolo sociale rivestito, il giudice e Dio. Se ne salta uno, è difficile che possa sfuggire agli altri. Ovvero ad uno solo di questi. In Italia, la nuova politica, con Berlusconi ispiratore, ha cancellato tutti gli altri livelli per costruirne uno solo: i giudici e i tribunali, dopo aver sentenziato tre volte. Solo ad essi deve rispondere il politico, ed esclusivamente se ha commesso un reato. Tutto ciò che non è configurabile come violazione della legge, non è moralmente contestabile. Addirittura, è ammissibile. Mentre si nega la morale, si inventa una morale diversa. Parallela. Personale. Quella secondo cui il popolo sovrano è l’unico a sancire il potere sovrano, quindi illimitato, di alcuni uomini. Secondo questa morale diversa, chi è eletto risponde solo agli elettori. Tranne i parlamentari che devono rispondere a chi li ha nominati includendoli nelle liste bloccate. Non quindi ai giudici (e qui l’apparente contraddizione). O alla legge. Questi, a secondo della personale convenienza, vengono delegittimati proprio dalla politica e dai governanti. E duramente contestati quando le loro indagini vengono rivolte in certe direzioni. Da qui la nuova filosofia: se il politico risponde solo al popolo e il popolo lo rielegge; e se la politica è giudicabile solo penalmente, vuol dire che la politica sancisce formalmente il suo distacco dalla morale. E così quest’ultima diventa una semplice categoria del pensiero astratto e inconcludente. La metamorfosi del nostro Paese, anche a causa della lunga distrazione della cultura e della Chiesa, così come del sistema formativo e informativo, è compiuta. Resta solo da capire, ora, chi sia l’artefice di tale mutazione. Se il governante che agisce sulla crisi morale del paese, ovvero la maggior parte degli italiani che si riconosce nel capo, che forse gli somiglia. Lo riconosce e lo elegge. Non è una domanda di poco conto, perché se fosse il primo, la soluzione sarebbe facile e rapida: basta sostituirlo, attraverso un’improvvisa resipiscenza collettiva. Ma se fosse la seconda, ci sarebbe da dire soltanto: povera Italia come ti sei combinata!?! Il caso Berlusconi, che trascende la sua stessa persona e la “pedagogia” da lui espressa, che va ben al di là delle sue azioni, e va oltre le stesse sue stravaganti dichiarazioni, nasce da questa Italia. O questa Italia ha partorito.
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