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di LUIGI M. LOMBARDI SATRIANI
Durante tutta la giornata di oggi, così come è avvenuto per quella di ieri, i cimiteri dei nostri centri, grandi o piccoli che siano, sono affollati da quanti visitano le tombe dei loro cari defunti, adornandole con fiori ed elevando preghiere in loro suffragio. Tratti di una religione del ricordo ancora fortemente presente nelle nostre regioni anche quando investite da forti processi di modernizzazione. La fenomenologia folklorica che potrebbe essere qui riportata è estremamente ampia ed è stata indagata da Mariano Meligrana e da me nel lavoro svolto sull’ideologia della morte nella società contadina del Sud (“il Ponte di San Giacomo”) al quale mi sia consentito rinviare. Riportandone alcuni tratti, ricorderò come a Zaccanopoli, in provincia di Vibo Valentia, l’ultimo giorno di ottobre si riempiono di acqua le bottiglie, fino all’orlo, perché si ritiene che la notte passino i morti, bagnandovi le dita o, secondo altre informatrici, il dito mignolo. L’usanza era diffusa fino a una cinquantina di anni fa, ora è ancora conosciuta ma praticata molto raramente. Anche a Nicotera si ricorda il giro di questua che il 1° novembre veniva fatto dai bambini che andavano in giro per le case portando una zucca svuotata e lavorata a mo’ di teschio, nel cui interno era accesa una candela, chiedendo regali di soldi e dolciumi con la domanda “mi dati i benedetti morti?”. Questa maschera mortuaria testimonia come l’attuale moda di Hallowen non è soltanto esplosione effimera di un’esigenza commerciale importata dagli Stati Uniti, ma ha salde radici nell’immaginario folklorico tradizionale anche della nostra regione. Anche in Lucania i morti tornano la notte del 2 novembre e i parenti preparano il cibo sul davanzale della finestra, affinché al loro passaggio processionale a mezzanotte possano cibarsi. In Sicilia il 2 novembre, “Jornu di li morti” o semplicemente “li morti” i defunti escono dai cimiteri ed entrano in città seguendo un itinerario processionale accuratamente descritto da Giuseppe Pitrè alla fine dell’Ottocento. Il famoso demologo siciliano attesta la presenza di tale credenza, oltre che a Palermo, a Casteltermini, a Vicari, a Catania, a Salaparuta, a Monte Erice e in numerosi altri centri dell’isola. La sua descrizione delinea con ampiezza di particolari questa processione dei morti che si crede svolgersi anche in quasi tutti i paesi meridionali. Così i morti si riappropriano simbolicamente dello spazio pubblico e di quello domestico (i morti visitano anche le loro rispettive case), con significativo capovolgimento analogico rispetto alle tappe del corteo funebre che ha, invece, una forte funzione liberatrice. Mariano Meligrana e io abbiamo rilevato direttamente la persistenza nella nostra regione di tale credenza; ad esempio a Taurianova ci è stato comunicato l’itinerario che seguono i defunti in questo momento deputato, analogamente a quanto avviene in altri paesi. Altro tema del ritorno dei defunti e della loro sosta nel paese è l’ascolto della messa celebrata da un sacerdote defunto nella chiesa, che riafferma così la sua funzione di casa dei morti. Se incautamente un vivente vi partecipasse, anche per errore, non comprendendo che si tratta della processione e della messa dei morti, verrebbe avvertito da una sua “comare” defunta e dovrebbe allontanarsi rapidamente, ma giunto a casa si metterebbe a letto per lo spavento e dopo qualche giorno morirebbe. Così ci è stato raccontato in diversi paesi e ogni volta è stato affermato con sicurezza che questo lì era realmente avvenuto. Si tratta in realtà di una visione tipica, con una sistemazione stereotipata delle conseguenze della visione terrificante; Ernesto de Martino riporta quattro episodi di essa a lui riferiti nel corso delle sue ricerche in Lucania. Lo studioso osserva esattamente: “ le esperienze allucinatorie del ritorno dei morti appaiono qui sottratte alla loro assoluta irrelatività e dominate in una tradizione culturale relativamente uniforme: esse si ripetono con tratti sensibilmente analoghi e tendono a diventare visioni tipiche intessute di elementi ‘pagani’ e di influenze cattolico-popolari”. La visione, per la distanza prospettica che comporta, consente di mantenere distinta la dimensione della vita da quella della morte, per cui le conseguenze della visione sono tendenzialmente contenute. Ove tale distanza prospettica dovesse, per qualsiasi motivo, annullarsi, subentrerebbe la condizione di confusione con l’annullamento della vita nella morte. Lo spazio in cui si dispiegano la processione e la messa dei morti comporta una sospensione transitoria delle condizioni di vita e la instaurazione di una signoria dei morti che rende tale spazio interdetto ai viventi. Anche in Campania è stato accertata la diffusione dell’intenso tributo di fiori e di lumini rivolto ai morti e, ugualmente, alle anime purganti, alle quali sono dedicate numerose edicole nelle strade dei quartieri più popolari. Nel 1970 nel cimitero della Pietà a Napoli è stato dichiarato ad Annabella Rossi che “in tale ricorrenza non sono i vivi a parlare con i morti ma esattamente il contrario”. La studiosa riferisce al riguardo quanto le ha ampiamente detto il guardiano del cimitero. Il 2 novembre può essere inteso come anniversario collettivo, in cui i morti riemergono con particolare intensità nel ricordo dei vivi, così come avviene negli anniversari individuali nel ricordo della famiglia. Di questo culto dei propri morti, come dell’esigenza radicale da parte dei superstiti di ritrovare la possibilità di un rapporto con loro nonostante l’evento drammatico della loro scomparsa, è stata sacerdotessa e altissima interprete Natuzza Evolo, la mistica Veggente di Paravati che si poneva, con assoluta modestia, come veicolo di comunicazione. Natuzza è morta lo scorso anno proprio alla vigilia della commemorazione dei defunti ed è stata oggetto di un pellegrinaggio di migliaia e migliaia di persone, che hanno voluto renderle omaggio ed entrare per l’ultima volta in contatto o in prossimità fisica con lei, come ho costatato personalmente scrivendone poi su questo giornale. I fedeli l’hanno subito venerata come mamma e santa, proclamandola di fatto tale, prima di qualsiasi inizio di un ufficiale processo di canonizzazione. Religione della memoria, desiderio di trascendenza dalla propria precarietà e finitudine, culto della famiglia intesa quale comunità metastorica allargata, bisogno di superare l’angoscia per la propria fine, esigenza di un universo simbolico che fondi la nostra esistenza sottraendola alla fragilità e al rischio di un assoluto smarrimento: elementi tutti testimoniati dai nostri pellegrinaggi nei cimiteri e dalla nostra esplicita, sofferta pietà.
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