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di LEO AMATO
LO HA SCRITTO anche il gip Attilio Orio nell’ordinanza che affida una nuova perizia genetica sui reperti prelevati dal sottotetto della Trinità ai carabinieri del Raggruppamento investigazioni scientifiche. Mancano informazioni sulla quantità delle formazioni pilifere che non sono state esaminate, o non sarebbero state «foriere di risultati utili» per l’estrazione di un profilo di Dna. Non è nemmeno specificato se le formazioni pilifere ritrovate sulle tegole che erano poggiate sul corpo, sul reggiseno, e lo slip, fossero o meno di natura umana e, in caso positivo, se si potesse svolgere «un esame mitocondriale», sempre «a fini comparativi con il Dna della vittima o in caso negativo con il Dna dell’indagato».
Sono tutti elementi emersi dal lavoro degli altri consulenti che si stanno occupando del caso, e in particolare del biologo, e del merceologo-paleontologo Eva Sacchi, che nei giorni scorsi ha depositato una relazione conclusiva di quasi seicento pagine proprio all’attenzione del gip.
Due «le serie» di reperti considerate più interessanti, entrambe della stessa natura, che potrebbero assumere una grande rilevanza per il prosieguo delle indagini. Si tratta di «formazioni pilifere» come tante altre isolate nel sottotetto. Queste però provengono dagli indumenti che indossava Elisa. E più che di capelli si tratterebbe proprio di peli pubici, forse della vittima, forse dell’assassino, perchè restando a quanto scrive il perito nelle sue conclusioni, chi ha ucciso la ragazza si sarebbe intrattenuto con il corpo anche dopo la morte, accanendosi sui suoi indumenti, spogliandola e consumando un macabro rituale a sfondo sessuale. Lo stesso che secondo la relazione dell’anatomopatologo Francesco Introna avrebbe incluso anche il taglio di una ciocca di capelli. Per questo assume una certa importanza scoprire se è possibile evidenziare un profilo genetico a partire proprio da questo tipo di reperti, e in particolare dalla «serie» che raccoglie quanto è stato trovato fuori dagli slip.
Ma il gip Attilio Orio, censurando il lavoro del capo del Dipartimento di genetica dell’Università cattolica del Sacro Cuore, il professor Vincenzo Pascali, scrive anche di un quesito sul «bottone rosso» del 14 aprile. Quello è un reperto che sarebbe stato catalogato solo da Introna nel corso dell’esame autoptico, che si è svolto nei laboratori dell’Università di Bari, quindi è difficile risalire alla posizione esatta in cui si trovava rispetto al corpo nel sottotetto. Quindi Pascali avrebbe avuto il compito di cercare eventuali tracce di Dna. Infine è passato a Eva Sacchi per ulteriori esami. Ma a quel punto, stando a quanto emerge dalla sua relazione, sarebbe stata impossibile un’analisi delle stratificazioni dei diversi elementi che ricoprivano il tessuto «rosso cardinalizio», e la sua anima in metallo, perchè l’oggetto sarebbe apparso già ripulito. Per un geologo invece proprio la stratigrafia è un quesito fondamentale, e in questo caso avrebbe permesso di chiarire da quanto tempo quel bottone stava nel sottotetto: se da prima del 12 settembre 1993; da quello stesso giorno; o da un momento successivo. Un mistero addirittura inquietante, perchè resta da chiarire anche a chi appartenesse, che forse è destinato a restare senza soluzione.
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