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I magistrati sostengono che «Antonio Cortese ha eseguito attentati dinamitardi anche su incarico del fratello di Antonino Lo Giudice, Luciano, e, unitamente a quest’ultimo, si è recato in Austria a prelevare un notevole quantitativo di armi pesanti, circa una trentina, tra cui kalashnikov a colpo singolo». Antonio Cortese, secondo il boss pentito di ‘ndrangheta Antonino Lo Giudice, non solo eseguiva materialmente gli attentati per conto della cosca, tra cui quello alla Procura generale ed all’abitazione del Procuratore generale Di Landro, ma si occupava anche di reperire le armi per il gruppo criminale. Nel provvedimento di fermo emesso dalla Dda di Reggio Calabria a carico di Cortese si fa riferimento alle dichiarazioni di Antonino Lo Giudice ed a quanto riferisce il boss pentito a proposito del ruolo di Cortese all’interno della cosca.
Intanto l’interrogatorio di garanzia per Cortese avverrà mei prossimi giorni da parte del dott. Pietro Montrone della Direzione Distrettuale Antimafia di Trieste. Quindi dovrebbe avvenire il trasferimento di Cortese a Reggio Calabria, città in cui oggi si respira un’aria di svolta nella lotta contro la ‘ndrangheta, segnata ieri da un arresto determinante, quello di Antonio Cortese, 48 anni, indicato da Nino Lo Giudice (che da qualche giorno ha deciso di collaborare con la giustizia) come l’esecutore materiale delle intimidazioni ai danni dei magistrati reggini.
I TRE ATTENTATI
Antonio Cortese dovrà rispondere dell’attentato del 3 gennaio contro la Procura generale e di quello contro l’abitazione del procuratore generale Salvatore Di Landro del 26 agosto; ma anche del bazooka fatto ritrovare il 5 ottobre scorso davanti l’ufficio della Dda di Reggio Calabria, preceduto da una telefonata di minacce contro il Procuratore della Repubblica, Giuseppe Pignatone.
Esecutore materiale di tutte le intimidazioni, secondo quanto rivelato da Lo Giudice nell’interrogatorio fiume dei giorni scorsi al procuratore Pignatone ed all’aggiunto Michele Prestipino, sarebbe stato proprio Cortese, armiere della stessa cosca Lo Giudice ed esperto nel maneggio e nel confezionamento di esplosivi. A lui il boss pentito, aveva affidato il compito di eseguire le intimidazioni ai danni dei magistrati.
«Antonio Cortese esegue gli ordini come un bambino, che prendete dalla mano e lo portate al parco per comprargli un gelato». È la descrizione che il pentito di ‘ndrangheta Consolato Villani, ha fornito ai magistrati della Dda di Reggio. La dichiarazione di Villani è riportata nel provvedimento di fermo a carico di Cortese emesso il 14 ottobre scorso dalla Dda di Reggio Calabria e firmato dal Procuratore della Repubblica, Giuseppe Pignatone, insieme al procuratore aggiunto, Michele Prestipino, ed ai sostituti Giuseppe Lombardo, Marco Colamonici e Beatrice Ronchi. «Cortese fa quello che gli viene detto – dice ancora Villani – e in materia di bombe ha una grande esperienza».
Resta avvolto nel mistero ancora il motivo per cui la cosca Lo Giudice avrebbe preso di mira il pg Di Landro ed il procuratore Pignatone. Sul punto la Dda di Reggio Calabria si mantiene ancora sul vago motivando questa posizione col fatto, che non essendo competente, non ha approfondito questo specifico aspetto della questione. Resta da capire il ruolo svolto da Cortese in tutta la vicenda ed i suoi spostamenti dopo gli attentati. L’esecutore delle intimidazioni ha trascorso gli ultimi giorni in Romania.
GLI ORDINI DEL BOSS PER CORTESE
L’ordine che Antonio Cortese aveva ricevuto era quello di sparare e quel bazooka non doveva essere ritrovato dalla polizia. Antonino Lo Giudice gli aveva dato indicazioni diverse, e Cortese avrebbe dovuto sparare contro la Procura della Repubblica, mentre il palazzo del Cedir doveva essere devastato dal colpo del bazooka. Ma Cortese non seguì esattamente gli ordini del capoclan, perchè – secondo quanto emerso dalle dichiarazioni del boss Lo Giudice – ebbe un ripensamento e non voleva rischiare di colpire qualche innocente.
Così invece di sparare, la notte del 5 ottobre, qualcuno fece una telefonata al centralino del 113 segnalando la presenza dell’arma da guerra che venne ritrovata scarica. Le dichiarazioni del neo collaboratore di giustizia sono al vaglio della Procura della Repubblica di Catanzaro, chiamata a gestire l’indagine che vede quali parti offese i magistrati di Reggio Calabria.
Secondo quel racconto, Cortese si era preoccupato di eventuali vittime: uomini della vigilanza, delle pulizie…La notte del 4 ottobre infatti, i quartieri di Sant’Anna e San Giorgio Extra furono svegliati da un boato ma le forze dell’ordine allertate, non trovarono traccia di quella esplosione. Ora secondo alcune indiscrezioni, la spiegazione potrebbe essere quella che Antonio Cortese, avrebbe scaricato il bazooka contro un terrapieno della zona e solo la notte successiva avrebbe telefonato per far ritrovare il bazooka scarico a poche decine di metri dal palazzo che ospita la Procura della Repubblica e la Dda.
Forse sono stati gli scrupoli della coscienza di Cortese ad impedire una strage. Tra l’altro Cortese, nell’ordinanza di fermo firmata dal procuratore Giuseppe Pignatone, dal suo aggiunto Michele Prestipino, e dai pm Giuseppe Lombardo, Marco Colamonaci e Beatrice Ronchi, si descrive il soggetto come un esperto di armi, ma non come un killer.
L’uomo viene indicato dallo stesso Lo Giudice come personaggio capace di costruire bombe ed in alcune occasioni anche pronto a piazzarle per provocare danni ad attività commerciali. Ma lo stesso non viene chiamato in causa, almeno fino ad oggi, per fatti di sangue. Era solo l’armaiolo del clan, il custode degli arsenali, che deteneva per conto di Antonino Lo Giudice e dei suoi.
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