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MATERA – “Non posso continuare a vivere con questa spada di Damocle sulla testa, non mi lascia tranquillo, non mi permette di poter svolgere al meglio il mio lavoro. Spostandomi nei paesi dell’Unione Europea rischio nuovamente di essere fermato ed arrestato e poi non voglio neanche ricordare il massacro subito oltre ai danni economici ingenti ed un affare con la Comunità Europea che è sfumato, ovviamente, senza che io sappia ancora il perché”.
Italo Gigante imprenditore lucano, consigliere comunale di opposizione nel suo paese Ruoti ha deciso di raccontare l’incredibile storia che ha vissuto negli ultimi tre anni con due arresti in virtù di un mandato di arresto internazionale firmato nel 2007 dalla Procura di Bruxelles, due volte fermato prima in Italia e poi in Albania ma mai estradato perché i giudici, italiani e albanese non hanno ritenuto che vi fossero i termini sufficienti per concedere l’estradizione e trasferire Gigante di fronte alla Procura belga. Eppure i reati per i quali Gigante è indagato sono tra i più gravi, si parla di corruzione attiva e passiva, falso e uso di falso, riciclaggio. “Oggi la mia situazione rimane sospesa, non c’è modo mi hanno spiegato i miei avvocati di risolvere immediatamente questa situazione, abbiamo provato anche a chiedere al giudice belga di ascoltarmi tramite rogatoria ma non c’è stato nulla da fare. Per ascoltarmi mi devo prima far arrestare, il risultato è che in Belgio non posso mettere piede e che in altre parti la mia presenza diventa un rischio perché c’è sempre un mandato di cattura europeo che resta valido e non viene meno perché il giudice belga non fa alcun passo indietro ma per ben due volte sono stati considerati insufficienti i termini per l’estradizione sia dall’Italia sia dall’Albania”.
Gigante ricostruisce con il “Quotidiano” le tappe salienti della sua storia, dà la sua versione dei fatti ma chiede soprattutto che “le indagini procedano ma intanto però questo mandato di cattura dopo tre anni non vedo più che senso ha. Oramai sono passati sei anni dall’avvio dell’indagine, ci sono due giudici che si sono espressi e non posso essere ancora in questa situazione di fronte anche alla mia famiglia, ai miei figli, ai miei nipoti”.
I fatti partono a quanto pare dal 2003 quando “un immobile che ho con altri soci in Albania viene scelto dalla commissione europea come sede a Tirana, un fatto che diviene presto oggetto di un’indagine della procura di Bruxelles. L’indagine parte nel 2004 mentre nel 2005 la Comunità europea entra nell’edificio, io di tutto questo vengo a conoscenza solo nel 2007 quando mi ritrovo con un mandato di arresto europeo che mi viene recapitato a casa, a Ruoti. Sono stati arrestato ma in virtù di una legge comunitaria per avviare la procedura di estradizione vi era bisogno della ratifica del provvedimento da parte del giudice italiano che ha visto le poche carte che gli sono pervenute presso la Corte di Appello di Potenza”, racconta ancora Gigante, “ed ha rifiutato di concedere l’estradizione perché mancava nella documentazione inviata dal Belgio la relazione sui fatti che mi venivano imputati, le prove, i reati.
Una relazione che è stata a più riprese richiesta dal Tribunale di Potenza prima che si rigettasse la richiesta e si revocasse la misura coercitiva in virtù del mancato invio della relazione stessa”.
Molto più precisamente nella decisione presa nel novembre del 2007 dalla Corte di Appello di Potenza si legge che “gli scarni e disorganici contenuti del Mandato di Arresto Europeo (Mae) non sono per niente idonei a soddisfare i precipui requisiti della relazione quantoalle fonti di prova, alle modalità esecutive dei reati con riferimento alle condotte soggettive di Gigante precludendo a questa Corte i doverosi poteri di verifica”.
La storia in quel momento si esaurisce, ma il mandato di cattura europeo resta, rimane del resto ancor oggi, e Gigante nel luglio del 2010 tornato in Albania viene nuovamente arrestato. Qui ha passato 15 giorni in carcere ed è ripartito l’inter per l’estradizione in Belgio a cui è stato in un primo momento dato parere favorevole. Poi dopo la Corte d’Appello d’Albania con una sentenza del 17 settembre 2010 ha rigettato la richiesta di estradizione di Gigante verso il Belgio. “Per me quelle in carcere sono state due settimane davvero terribili, sono finito su tutte le prime pagine dei giornali dell’Albania e mi sono fatto anche due mesi di arresti domiciliari. Mi è servito in queste settimane l’aiuto dell’ambasciata italiana in Albania che ha verificato e controllato che documenti e procedure fossero rispettate”.
Ma ora la situazione per Gigante non è di molto migliore: “ho chiesto più volte tramite i miei legali di poter essere ascoltato dal magistrato belga, mi è stato risposto che prima devono arrestarmi e poi decideranno cosa fare.
Questo mi è stato detto prima di Pasqua, quest’anno, in Belgio non posso andare, corro un serio rischio.
Stessa cosa in altri paesi europei. Potrebbe ricapitarmi ciò che è successo in Albania”.
Ma anche sotto il profilo economico questa storia ha avuto un costo e Gigante non esita a raccontarlo, si tratta di un danno totale che forse si aggira addirittura intorno ai 10 milioni di euro e che lascia intendere comunque come la questione possa considerarsi di grande interesse.
“La Commissione europea, come era naturale, di fronte a queste indagini è fuggita via dal mio immobile che noi avevamo costruito su misura per quelle che sono le loro esigenze. E’ sfumato un contratto di 10 anni più altri 11 per 500.000 euro l’anno. Si capisce la proporzione di quello di cui stiamo parlando e c’è anche da tener conto che trovare una diversa soluzione non è così semplice perché quella struttura era stata calzata a posta per le esigenze della Commissione europea”.
Ora Gigante si trova a dover affrontare più problemi: “non posso muovermi liberamente, ho avuto un serio danno economico e continuo ad avere una spada di Damocle sulla testa fino a che un magistrato non deciderà di chiudere le indagini, tutto nel frattempo rimane legato al mio arresto.
A Ruoti poi nell’immaginario generale posso gridare vendetta per ciò che ho subito. Non è pensabile dover andare avanti così, non è giusto”.
Piero Quarto
p.quarto@luedi.it

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