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di Pietro SCOGNAMIGLIO
TRECENTOMILA euro sono una cifra importante, specie se si tratta di un versamento a fondo perduto. Ma è uno sforzo che paga. Pisa e Avellino hanno sfruttato l’articolo 52 delle Noif un’estate fa, finendo catapultate rispettivamente in Prima e Seconda Divisione con gli strani meccanismi federali dei ripescaggi. Quest’anno la strada l’hanno seguita in quattro: Mantova, Perugia, Arezzo e Rimini.
MANTOVA Nella città di Virgilio l’ex presidente Lori, fino a qualche mese fa mediaticamente sovraesposto (il personaggio meritava, ndr) non si fa più vedere. Dalle ceneri del Mantova Calcio è nato il Mantova Fc, i derby non sono più con Brescia e Atalanta ma con Castellana e Castiglione delle Stiviere. L’amore non ha però avuto condizionamenti dall’inedita mappa delle trasferte, inevitabilmente a raggio ridotto. Gli abbonamenti staccati sono più di 1500 e hanno sposato il progetto tecnico il portiere Bellodi e il mediano Spinale (reduci dall’ultima annata in B), oltre al bomber Gabriele Graziani, figlio di Ciccio, già per sette anni in biancorosso e protagonista della sfiorata promozione in A del 2006.
PERUGIA La rinascita dopo i disastri di Covarelli porta le firme di Roberto Damaschi e Franco Fedeli. Il primo è un imprenditore petrolifero, con interessi in Italia e Spagna. Fedeli, che nel settore alimentare ha oltre 700 dipendenti, vanta in curriculum la presidenza della Ternana ad inizio anni ’90 e un passaggio dirigenziale ad Arezzo tra il 1997 e il 1998. In sostanza, ha operato nelle due piazze più odiate dalla tifoseria del Grifo. Ma quando c’è da ricostruire non ci si può certo formalizzare sui campanilismi. Il nuovo duo dirigenziale ha avuto grande sostegno dall’amministrazione comunale e una consulenza prestigiosa, quella di Walter Novellino. L’ex tecnico della Reggina svolge il suo ruolo a titolo gratuito per l’amicizia che lo lega con Damaschi e per il debito di riconoscenza con quella che è ormai diventata sua città adottiva. Un dato fa riflettere: gli abbonati, poco oltre duemila, sono gli stessi che si contavano l’estate scorsa alla vigilia di un campionato di Prima Divisione partito tra mille proclami e finito allo sfascio. Il tecnico del nuovo corso è Pierfrancesco Battistini, 39anni, guarda caso anche lui ex giocatore dell’Arezzo. Il ds Arcipreti gli ha costruito un bel telaio: a partire dal ritorno di Roberto Goretti (che venne promosso in A col Perugia di Galeone nel 1996) e dalla conferma di Taccucci (unico reduce dell’anno scorso) per finire con gli innesti di Mocarelli dalla Lucchese, Trezzi dal Foggia, Borghese dal Foligno e Frediani dal Figline. Gente che in D può spaccare il campionato. Al debutto, neanche a dirlo, al Renato Curi c’erano tremila persone.
AREZZO I numeri del nuovo Atletico Arezzo, invece, sono meno eclatanti. Anche quelli di una classifica deficitaria dopo le prime uscite. Ma la storia merita comunque di essere raccontata, perché tanti hanno provato a rendere realistica la tendenziale utopia dell’azionariato popolare, mentre il comitato “Orgoglio Amaranto” c’è riuscito. Non che la sottoscrizione dei tifosi abbia raccolto milioni di euro, ma il comitato è già entrato in società con l’acquisizione dell’uno per cento delle quote, ed è in trattativa per arrivare al due. Siede in consiglio d’amministrazione con un ruolo di garanzia. Le vere garanzie, quelle economiche, per il momento non abbondano. Lo sforzo di cacciare trecentomila euro a fondo perduto ha innegabilmente provato la nuova dirigenza, che però confidava nell’aiuto delle istituzioni e del tessuto imprenditoriale. Fin’ora è arrivato solo il contributo del Monte dei Paschi, il colosso bancario senese che per radicarsi sul mercato del credito nella provincia limitrofa ha cacciato centomila euro di sponsorizzazione. Cifra buona che però non basta, perché sappiamo bene quanto la D sia un campionato sanguisuga. Solo spese, introiti prossimi allo zero. L’affetto della città comunque non manca: gli abbonati sono quasi ottocento e nel club due vecchie glorie amaranto come Andrea Mangoni e Domenico Neri hanno assunto ruoli dirigenziali di primo piano.

RIMINI In Romagna si vive invece un dualismo inedito, dopo l’altrettanto inedita e misteriosa (per le modalità) sparizione del Rimini Fc, che ufficialmente non risultava avere un centesimo di debiti. Ma la proprietà, rappresentata dalla Cocif, non ne ha voluto più sapere quando sono venute meno le promesse di un nuovo stadio. L’attualità è Ac Rimini contro Real. La passione della piazza confluisce tutta sulla prima società, nata con i 300mila euro dell’articolo 52 Noif e fortemente sostenuta, sin dalla creazione, dall’amministrazione di centrosinistra del sindaco Ravaioli. Il Real seguito non ne ha, se non altro perché nato dal trasferimento del titolo da Riccione. Riccione che a sua volta è ripartito dall’Eccellenza con il titolo del Morciano di Romagna. In riviera la rivalità stracittadina è vissuta anche sui banchi del consiglio comunale, perché gli imprenditori che reggono il Real sono vicini al Pdl, che da quelle parti non ha certo terreno fertile. Al primo derby di Coppa Italia si sono registrati anche incidenti tra le tifoserie. Il futuro, in ogni caso, è dell’Ac Rimini. Millecinquecento abbonati contro i 1180 dell’ultimo anno in Prima Divisione e ambizioni di vertice da testare contro Teramo, Santegidiese e Samb. In campo gente come Mastronicola e Cardinale (già a Rimini in B), il fratello d’arte Marco Brighi e l’ex potentino Alessandro Evangelisti. Per provare a risalire subito.

L’ANALISI DI COSMI

COMMENTA le partite di serie A per Mediaset Premium in attesa di salire in corsa su qualche panchina, “un’esigenza fisica, perché senza campo non so stare”. Serse Cosmi in pochi mesi ha visto cadere nella polvere le due piazze in cui ha costruito la sua carriera. Lui, perugino di Ponte San Giovanni e profeta in patria nell’era Gaucci, si ritrova paradossalmente ad essere l’allenatore più amato ad Arezzo, dove nel 1996 vinse proprio il campionato di serie D dando il via ad una cavalcata che avrebbe portato gli amaranto, in cinque anni, alle soglie della B (semifinale play-off persa con l’Ancona nel 2000). Il bello è che queste due bellissime città del centro Italia, calcisticamente, si odiano. Una rivalità che affonda le sue radici secondo alcuni in faccende medievali, secondo altri (più realisticamente) in una sfida degli anni ’70 che costò agli aretini, sconfitti, la retrocessione in C. La leggenda popolare racconta che doveva essere un pareggio comodo per entrambi, ma qualcuno tra gli umbri tradì il patto. Da allora si può parlare di derby, sentito più che mai, anche per gli scarsi ottanta chilometri di distanza. La passione per Cosmi unisce però le due città. «Vedere Arezzo e Perugia in D mi provoca un misto di delusione e rabbia. Retrocedendo una sola volta sul campo (dalla A alla B nel 2004, spareggio con la Fiorentina, ndr) i grifoni oggi si trovano quattro categorie più in basso, solo per problemi societari. Ma c’è da dire che il fallimento delle squadre non lo causano entità astratte, ma gli uomini: visto quello che aveva combinato Covarelli a Pisa, qualche timore ce l’avevo in partenza». La schiettezza non gli fa difetto. E sarebbe sorprendente il contrario, conoscendo il personaggio. Cosmi resta uno dei pochi tecnici italiani ad essersi seduto sulle panchine di ogni categoria, a partire dalla gavetta più dura. Nel 1990 ha iniziato ad allenare nel suo paese, in Prima Categoria, portando la Pontevecchio fino all’Interregionale. «Conosco la D – racconta – è una giungla. O meglio: dal punto di vista della Pontevecchio è un campionato di lusso, il problema è per le grandi. Su certi campi Arezzo e Perugia si renderanno conto che non basta andarci con duemila tifosi per vincere». E proprio la sua Pontevecchio, alla terza giornata del girone E, è andata ad espugnare per 3-1 il Comunale di Arezzo. Ma Cosmi ha un’idea ben precisa anche sul futuro del calcio italiano, almeno quello che non naviga nei milioni di euro: «le squadre in Lega Pro sono decisamente troppe – spiega – ogni eventuale riforma deve passare dalla riduzione del numero delle partecipanti. Qualcosa non funziona al meglio, evidentemente, anche negli organi preposti al controllo dei bilanci. E’ difficile pensare che società promosse dalla Covisoc qualche mese prima poi crollano sommerse dai debiti o non si iscrivono per scelta della proprietà». Il dibattito sui problemi del calcio, fra l’altro, è terreno fertile per la demagogia da bar. Cosmi salta l’ostacolo a piè pari, offrendo una sponda sindacale ai calciatori, proprio lui che non ha giocato se non a livelli dilettantistici. «Ho visto cose strane nella scorsa stagione – attacca – squadre di Lega Pro costruite solo con i ventenni che sono retrocesse ma hanno fatto un sacco di soldi. E’ un meccanismo che non va. I giovani devono giocare quando meritano, non per obbligo. In questo modo si finisce per privilegiare la quantità alla qualità e si creano scompensi. Tanti buoni calciatori non più giovanissimi in C restano senza squadra perché il loro impiego non genera contributi per le casse societarie, e chi ha sempre giocato in quella categoria non ha certo messo da parte i soldi per tutta la vita come i colleghi di serie A. Anche sullo sciopero che doveva esserci nel week-end mi chiedo quanti, tra quelli che hanno espresso giudizi, conoscono realmente l’argomento di discussione». In pochi, forse. Meno male che ieri si è giocato normalmente.

CHI E’ PASSATO DALL’ECCELLENZA

IL DRAMMA non è l’Eccellenza, ma affrontarla senza prospettive. Come punto di (triste) arrivo e non di partenza. Perché non c’è da vergognarsi se un serio progetto di rilancio fonda le sue basi nel massimo campionato regionale. Ad Olbia e Manfredonia – piazze inserite dal Consiglio Federale nella stessa ordinanza riguardante il Potenza di Postiglione – sono nate nuove società, anche se nel secondo caso sorge qualche dubbio sulla reale novità dei protagonisti. Il nuovo Manfredonia allenato da Karel Zeman (Asd Football la denominazione) si appoggia sul sito internet del vecchio sodalizio, forse perché la gestione non è lontana anni luce. Ma è l’eccezione alla regola. E nessuno si è scandalizzato di spostare titoli sportivi. La Scafatese è ripartita da quello del Baia di Vietri sul Mare nell’Eccellenza campana. Il Monopoli dal titolo itinerante più famoso dell’Eccellenza, quello del Liberty (nato a Bari e già passato da Molfetta). In entrambi i casi si punta a vincere. Merita invece di essere raccontata la parabola dell’Ancona. La Ac Ancona che ha perso la B vegeta iscritta alla Terza Categoria marchigiana, ancora senza un progetto tecnico. Il fallimento pare ad un passo (dopo che verrà recuperato qualche credito, ndr) e il tentativo in extremis di ripartire dalla Seconda Divisione, in estate, è fallito miseramente perché i presunti nuovi investitori avevano paura di ritrovarsi in casa un mare di debiti pregressi. Il salvatore della patria si chiama Andrea Marinelli, imprenditore che gode di ampia stima e credito nei palazzi che contano. Aveva due strade: creare una nuova società cacciando i famosi 300mila euro per iscriversi alla D, o valorizzare ciò che già c’era. La sua creatura, il Piano San Lazzaro, orgogliosamente da anni in Eccellenza. Una sorta di Chievo locale, espressione di una frazione periferica del comune di Ancona. Piuttosto che arricchire con un versamento a fondo perduto le casse federali si è scelto di ripartire da un tesoro già di casa. Il Piano San Lazzaro ha cambiato denominazione diventando Us Ancona 1905 e i 300mila (e oltre) euro sono stati dirottati nella costruzione di una signora squadra, fondata comunque sulle basi del vecchio Piano che già schierava, ad esempio, l’anconetano doc Emanuele Pesaresi, un terzino con ampia militanza ai piani nobili del calcio italiano. L’Eccellenza marchigiana, fra l’altro, ha sembianze da D. Il derby a Pesaro contro la Vis ha visto sugli spalti oltre 2500 spettatori. Poi ci sono Fermana e Tolentino, uniche serie concorrenti per la vittoria finale. Nel nuovo Ancona c’è Peppe Aquino (l’anno scorso a Potenza), Kalambay (ex Ancona e Triestina in B) e il pescarese Davide Faieta, rifinitore con presenze a tre cifre in serie C. Abbandonata la cattedrale nel deserto dello Stadio del Conero, la squadra è tornata ad infiammare il vecchio Dorico, catino nel centro della città dove al debutto casalingo erano presenti cinquemila spettatori, di cui oltre 2000 abbonati. Non è difficile prevedere una rapida risalita. Tra le altre, al piano di sotto, hanno rilanciato dalla Promozione il Cassino e l’Alghero (sempre con nuove società e buoni investimenti), mentre è sparito il Pescina, meteora a cui la Prima Divisione stava larga nonostante i grandi nomi ingaggiati dall’ultima gestione. In Promozione c’è anche il Gallipoli, con una curiosità: il nuovo presidente ha lavorato a Potenza, come direttore di banca.

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