4 minuti per la lettura
di DOMENICO CERSOSIMO
Sabato a Reggio Calabria dovremo respirare dosi fisiologiche di “mmuina”. Tappattarsi il naso e sfilare. Stare insieme in tanti contro la ’ndrangheta e per la legalità è un bene in sé, una torcia accesa nel buio prolungato del disimpegno civile. Viviamo appesi alle emozioni e ai sussulti di coscienza. Per questo la nostra partecipazione alla vita pubblica procede a sbalzi: intense ma concentrate primavere e lunghi inverni di rassegnazione e disincanto; grandi rumori e interminabili silenzi. Non abbiamo la forza della continuità. Siamo capaci di isolati slanci pubblici straordinari ma non di alimentare virtù collettive ordinarie, quotidiane. Sembra ormai una connotazione delle sfarinate società contemporanee. Senza attori collettivi e senza grandi narrazioni, siamo individualmente dominati da un presente onnivoro, da un protezionismo individuale. Come se avessimo smarrito la dimensione della profondità; come se ciò che accade oggi non abbia addentellati nel passato e non condizioni il futuro. Come se la nostra vita fosse la sommatoria di vite istantanee, semplicemente giustapposte, senza legami. Come se la felicità individuale fosse indipendente dalla felicità pubblica, avulsa da un destino comune. Sguarniti di catalizzatori sociali stabili e legittimati, riusciamo al più a dare vita a “comunità di schiuma”, ad aggregazioni di soggetti che declinano rapidamente, a reti di individui e di sigle che si sciolgono come neve al sole, a moltitudini di scopo meteora. Il rischio della “mmuina” paventato da Vito Teti su queste pagine è dunque alto, inevitabilmente alto. “Mmuina” perché si sono intruppate e si stanno intruppando a frotte nelle ultime ore opportunisti, mestatori, collusi, comparse e registi di zone grigie e nere. E’ sempre così. E’ un rischio connaturato a proposte generose di adunata come quella avanzata dal direttore de “il Quotidiano”, Matteo Cosenza. Nelle mobilitazioni sociali c’è sempre una quota di partecipanti con finalità e convenienze secondarie, dissonanti, strumentali. Soprattutto nelle aree di arretratezza civile, come la nostra. La denuncia di Vito Teti è importante perché ci sprona a ragionare su come ridurre la “mmuina”. Non quella fisiologica, impedendo (ma come?) di partecipare alla manifestazione a soggetti non degni, bensì quella “patologica”, connessa cioè al cuneo tra genuino e sentito slancio partecipativo e organizzativo all’iniziativa e comportamenti quotidiani. Quanti di noi che saremo il 25 a Reggio Calabria il giorno dopo avremo comportamenti strettamente coerenti, pratici, con lo spirito e le finalità della manifestazione? E quanti soggetti collettivi e istituzionali che sfileranno contro la ’ndrangheta e a difesa della legalità e della magistratura il giorno dopo invereranno routines e meccanismi organizzativi coerentemente improntati su trasparenza, efficienza, rispetto delle leggi e delle norme, imparzialità, equità? E’ questo il punto. Le manifestazioni collettive contro la mafia hanno un valore enorme, incalcolabile, sotto il profilo simbolico, sociale e istituzionale. Ma ovviamente non bastano, anche quando sono imponenti e colorate, come si spera sia quella di sabato prossimo. Molto di più conta la quotidianetà, l’insieme dei comportamenti correnti, minuti, dei singoli e l’insieme dei funzionamenti ordinari di istituzioni e organizzazioni. L’antidoto più potente si costruisce (faticosamente) nella vita di tutti i giorni. Non difetta la capacità indignativa, anche se i più prediligono il più comodo sdegno privato a quello pubblico, se non il muto rancore. Si avverte forte, invece, un deficit di credenza nella legalità, di rispetto delle norme e delle regole che regolano la nostra convivenza civile. Lentamente si è abbassata la guardia, è cresciuta l’assuefazione a comportamenti a-legali se non manifestamente illegali. Con il conseguente deterioramento della nostra tempra morale e civile. Chi sta in alto ha molte colpe, molte di più dei dilettanti della vita, della gente comune. Classi dirigenti immorali alimentano immoralità sociale. Cattivi insegnanti formano pessimi alunni; cattivi politici producono pessimi elettori; amministratori corrotti alimentano corruzione diffusa. Le infrastrutture morali come fiducia, capitale sociale, legalità, non crescono nel vuoto iperuranio; al contrario si costruiscono con azioni intenzionali, con regole ad hoc, con l’esempio e la prassi. Le istituzioni e le organizzazioni possono fare moltissimo. Istituzioni organizzate sui principi della trasparenza, dell’imparzialità, dell’equità, del merito, dell’uguaglianza di opportunità tra uomini e donne, contribuiscono ad accrescere e diffondere credenza nella legalità, civismo, propensione alla partecipazione e fiducia reciproca. Le istituzioni sono performanti perché creano convenzioni, credenze morali, norme sociali; perché possono accrescere o sfasciare lo spirito pubblico, creare o distruggere capitale sociale. Dopo il 25 settembre è possibile fare un altro piccolo passo in avanti. Chiedere a tutte le istituzioni e le organizzazioni che hanno aderito e contribuito all’ideazione e realizzazione della manifestazione di adottare specifici “codici etici” fatto di principi di condotta adeguati allo spirito che ha animato la loro partecipazione alla giornata di lotta alla mafia. Per sconfiggere la ‘ndrangheta ci vogliono tante cose e tanto tempo. E’ necessario prima di tutto lo Stato centrale: ottimi magistrati, investigatori, carabinieri, poliziotti; strutture e attrezzature adeguate; più coordinamento tra le forze di contrasto; legislazione efficace. Altrettanto importante è lo Stato locale: amministratori pubblici e strutture burocratiche orientati al bene comune, uffici ben funzionanti, scuole e insegnanti migliori. Ma richiede anche un imponibile di coerenza e responsabilità per tutti, singoli o associati. Quotidiane coerenze e fedeltà allo spirito della mobilitazione “No ’ndrangheta” del 25 settembre 2010.
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA