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Era apparso chiaro dai primi istanti che quelle accuse lanciate dai gradini dell’ingresso della chiesa della Santissima Trinità non sarebbero rimaste senza risposta. Una discussione dai toni concitati si era accesa immediatamente dopo la fine del corteo pensato per commemorare la morte di Elisa, e l’inizio del mistero sulla sua scomparsa: da una parte alcune persone vicine al movimento dell’Azione Cattolica, e dall’altra i fedelissimi di Don Cozzi; al centro il ruolo di monsignor Superbo e le parole pronunciate da Gildo Claps, che ha chiesto al vescovo di farsi da parte perchè «o sapeva o non è in grado di reggere la diocesi di Potenza», senza che il sacerdote, animatore di Libera Basilicata, prendesse le distanze da quelle affermazioni.
La risposta è arrivata ieri mattina. «17 anni dopo – ha scritto in una nota il vescovo Superbo – la vicenda di Elisa Claps non cessa di inquietare perché non è stata ancora fatta piena luce sulla sua tragica fine». Quanto all’atteggiamento della chiesa il vescovo ha spiegato che andrebbe considerato «il riserbo dovuto unicamente al rispetto che si deve alla Magistratura, cui sin dall’inizio è stata offerta totale disponibilità per la necessaria azione investigativa. Non abbiamo motivo di nascondere nulla – ha aggiunto Superbo -, ma vogliamo servire la causa della verità, così come autorevolmente invita a fare papa Benedetto XVI. Per questo da mesi preghiamo in tutte le parrocchie, come è accaduto anche domenica scorsa».
Ribadita la dichiarazione di vicinanza alla famiglia Claps, il vescovo prosegue sottolineando «che trascinare la Chiesa in una continua polemica non è la strada giusta per trovare la verità, causa per la quale continuiamo a lavorare e a sperare».
Nel pomeriggio, invece, la risposta di Michele Cannizzaro, marito del pm Felicia Genovese, e chiamato in causa da Don Marcello Cozzi perchè avrebbe avuto contatti telefonici con esponenti della ‘ndrangheta calabrese. La circostanza è agli atti di diversi procedimenti accesi tra Potenza, Salerno e Catanzaro, ma non è mai stata oggetto di discussione in contraddittorio. Quanto basta, secondo Don Cozzi, «in un paese divorato dal sospetto» per sollevare una questione di opportunità quanto allo status di magistrato di Felicia Genovese.
«Non è la prima volta – ha replicato Cannizzaro riferito a questo genere di accuse -e temo che non sarà l’ultima. Per fare accertare la falsità delle affermazioni del prete Marcello Cozzi, a suo tempo ho già promosso nei suoi confronti un giudizio civile e formulato una querela penale. Non avendo intrattenuto conversazioni telefoniche con uomini della “n’drangheta” sono oggi costretto a coltivare un’ulteriore iniziativa giudi-ziaria per ottenere anch’io “verità e giustizia”. Per contrastare le condotte delittuose in suo danno, una persona che non vive al di là della legge si rivolge solo e sempre con fiducia all’ Autorità Giudiziaria».
Leo Amato
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