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di NICODEMO OLIVERIO*
L’aggressione al leader della Cisl, nel corso della festa nazionale del Partito Democratico, è stata giustamente e doverosamente condannata dall’intero mondo politico, sociale ed economico. L’unanimità dell’esecrazione, pur non sorprendendo, data l’eccezionale gravità dell’episodio, è un fatto sicuramente positivo. Ma non può far calare il sipario su quanto accaduto. Qui siamo molto oltre la contestazione ed anche la volontà di zittire un avversario: qui siamo alla violenza pura, come testimonia il lancio di un candelotto fumogeno che solo per un caso non ha ferito seriamente Raffaele Bonanni. E’, dunque, il campanello d’allarme di una situazione sociale del Paese ad alto rischio. E’, ancora, il segnale della ripresa di un clima di intolleranza – in questo caso spinta fino all’aggressione fisica – che si credeva superato e da tempo. Ci si potrebbe spingere alla compilazione di un inventario delle cause e della ragioni che hanno prodotto questo stato di cose. Ma non è questo che interessa, ora. Cosa interpella la politica? Quali domande tutto ciò pone alle forze riformiste, come il Pd? Su cosa deve incentrarsi prima la riflessione (attitudine ahimè poco praticata in questo tempo segnato dalla preoccupazione dei leaders politici e più in generale di tutti coloro che hanno ruoli pubblici di guadagnarsi i titoli dei giornali e di gareggiare a chi “la spara più grossa”) e poi l’azione politica? Sono due i piani, a mio giudizio, su cui soffermarsi. Entrambi ugualmente vitali per la nostra democrazia. C’è il piano della messa al bando di tutti i massimalismi, anche nell’uso delle parole, ma non solo. Esasperare la lotta politica ed il legittimo conflitto tra soggetti portatori di interessi diversi accende fuochi che possono diventare incontrollabili come pure inseguire rivendicazionismi – territoriali o economici che siano – venendo così meno al compito della politica che è scegliere, assumersi l’onere di decidere in nome di un interesse generale – di quel “bene comune” che ci è stato ricordato di recente dal documento preparatorio delle Settimane sociali di Reggio Calabria, il prossimo ottobre – che quasi sempre non coincide con quello di minoranze agitate e vocianti. Non si rende un buon servizio alla democrazia assecondando gli istinti di questa o di quella parte. Serve misura, serve responsabilità, serve equilibrio. Il Partito Democratico ha mostrato fino ad ora di possedere queste “qualità”, certamente nei suoi gruppi dirigenti. Personalmente credo che al di là dall’avere un valore in sé l’adozione di questo stile, esso trova un alto gradimento nell’opinione pubblica, nei cittadini, stufi di intemerate, di quotidiane “sfide all’O.K. Corral”, di permanenti guerre guerreggiate sulle pagine dei giornali o davanti alle telecamere della Tv. Anche in questo si misura l’adeguatezza all’assunzione di responsabilità di governo, in una fase tanto difficile e delicata, soprattutto dal punto di vista dell’economia. E qui si passa al secondo piano. Quello della devastante crisi economica che ancora – nonostante le bugie del governo e del premier in particolare – sparge i suoi effetti negativi dalle Alpi alla Sicilia, ed in Calabria in maniera particolare, come testimonia, per ultimo, anche il negativo dato dell’export. La crisi si è abbattuta come uno tsunami sull’Italia: anche se non si ha il coraggio di dirlo ad alta voce è quella specie di “welfare familiare” tipico di casa nostra – forte risparmio privato, genitori e nonni che hanno messo mano alle tasche per aiutare figli e nipoti trovatisi senza occupazione e ammortizzatori sociali, catene associative a cui aziende ed imprese piccole e piccolissime hanno potuto attingere per non chiudere i battenti – che ci ha risparmiato costi sociali salatissimi. Ma non viviamo in Paradiso. E occorre fare sforzi sovrumani “solo” per tornare a livelli di Pil di inizio secolo. Servono perciò proposte coraggiose dentro un disegno di vero e proprio cambiamento, non pannicelli caldi o un inerte affidamento nella “capacità di adattamento” degli italiani. Proposte coraggiose e capacità di creare consenso e generare fiducia attorno a questo ambizioso disegno di cambiamento. Ecco l’altra sfida a cui è chiamato, per quanto ci riguarda, il Partito democratico. Che ha le carte in regola. Sempre che mantenga fede alla sua natura riformista e moderata e, in ultimo ma non da ultimo, non si attardi in competizioni interne all’insegna dell’anagrafe o del maggiore tasso di “nuovismo”. Questa sfida può partire proprio dalla Calabria, tristemente in testa alle classifiche economiche con il segno meno, dove l’esigenza di un Pd forte, compatto e dinamico, è avvertita soprattutto dai cittadini in attesa, ormai da troppo tempo, di risposte vere e concrete sul loro futuro.
*capogruppo del Pd in Commissione agricoltura alla Camera
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