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di MARIATERESA LABANCA
MELFI – Gli avevano chiesto un intervento urgente sulla difficile vertenza scoppiata a Melfi, e così è stato. La risposta del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, alla lettera inviata ieri dai tre operai licenziati da Fiat lo scorso 13 luglio, non si è fatta attendere. «Non posso che rimettermi – scrive il Capo dello Stato – all’Autorità Giudiziaria, proprio per rispetto di quelle regole dello Stato di diritto a cui voi vi richiamate». E a Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli che si erano appellati a lui per chiedere «di farci sentire lavoratori, uomini, padri e non larve», il presidente replica: «Comprendo molto bene come consideriate lesivo della vostra dignità percepire la retribuzione senza lavorare. Poi il «profondo rammarico» per la tensione creatasi alla Sata di Melfi. E l’auspicio, «che spero sia ascoltato anche dalla Fiat»: «Che questo grave episodio – scrive Napolitano – possa essere superato, nell’attesa di una conclusiva definizione del conflitto in sede giudiziaria». In modo – continua il presidente – da creare le condizioni «per un confronto pacato e serio su questioni di grande riliev»o come quelle del futuro dell’attività della maggiore azienda manufatturiera italiana e dell’evoluzione delle relazioni industriali nel contesto di una aspra competizione sul mercato globaleLa risposta all’appello dei tre operai, annunciato lunedì, e materialmente redatto ieri davanti ai cancelli della Sata, è arrivato nella serata ieri, al termine di una lunga giornata di rabbia e attesa. Tutte le speranze sono state riposte in quella lettera. Come fu per Ferrentino, Auria, Miranda e Passannante, i quattro lavoratori licenziati nel 2007 perchè accusati di terrorismo, che dopo l’archiviazione del procedimento dovettero appellarsi alle massime cariche dello Stato per ottenere il ritorno in fabbrica, così hanno scelto di fare anche i tre operai a cui l’azienda contesta di aver bloccato «volontariamente» un carrello robotizzato nel corso di un corteo interno. «L’unico che può rappresentare l’autorevole garante dei nostri diritti è il Capo dello Stato», hanno detto i tre. Le loro speranze ora sono affidate a questo appello. E a quella richiesta di chiarimento inoltrato dal legale della Fiom, Lina Grosso, al giudice del Lavoro di Melfi sulle modalità di reintegro previsto dalla sentenza che emessa che ha condannato Fiat per condotta antisindacale.
Il loro rientro in fabbrica era previsto alle 14 di lunedì scorso. Ma i tre lavoratori hanno provato solo per pochi minuti l’ebrezza del ritorno in fabbrica. I legali della Fiom che già nella serata di lunedì hanno denunciato nuovamente il gruppo torinese per la mancata esecuzione della sentenza.
In una lunga nota sindacale la Fiat ha anche ricordato che a carico dei tre è in corso un’indagine penale per accertare i fatti accaduti durante il corteo interno che avrebbe causato il blocco della produzione. Dai legali della Fiom si appende che i tre iscritti sarebbero indagati per “violenza privata” e “turbativa dell’attività industriale ed economica”. Ma Barozzino, Lamorte e Pignatelli, nella lettera al presidente Napolitano, hanno scritto: «In verità, non vi è mai stato alcun blocco dei predetti carrelli da parte nostra e men che mai può ritenersi sussistente alcuna fattispecie delittuosa a nostro carico, così come comprovato dalle testimonianze di tutti i lavoratori presenti in occasione dello sciopero innanzi detto e da tutta la Rsu unitaria. Non si tratta soltanto della nostra versione dei fatti, la quale potrebbe risultare viziata dalla carità di parte, ma di ciò che ha stabilito il Tribunale di Melfi, in funzione di giudice del lavoro, adito dalla Fiom-Cgil ai sensi e per gli effetti dell’articolo 28 della legge 300 del 1970. In pratica, il magistrato ha riconosciuto l’antisindacalità della condotta posta in essere dalla Fiat-Sata, ordinandole conseguentemente di reintegrarci immediatamente nel nostro posto di lavoro».
«La legge se è uguale per tutti – ha detto il segretario nazionale Fiom, Maurizio Landini – deve valere dappertutto. Con la sua azione la Fiat vuole invece sancire una cosa che credo sia grave. E cioè che nei suoi stabilimenti la legge, lo Statuto dei lavoratori, non si deve più applicare. Chiede quasi una extraterritorialità dei suoi stabilimenti».
L’auspicio è che, anche questa volta, così come fu qualche anno fa, anche questa volta sia decisivo l’intervento del Capo dello Stato per il ritorno effettivo dei tre licenziati in fabbrica.

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