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di MARIATERESA LABANCA
MELFI – Fiat la chiama «prassi»: la decisione di non
far tornare a lavoro i tre operai licenziati lo scorso
luglio – come Torino ha replicato alle accuse della
Fiom – sarebbe un modo di procedere, usuale seguito
anche in altre aziende. Ma il mancato rispetto
della sentenza emessa del giudice del lavoro di Melfi,
che dispone l’immediato reintegro dei tre lavoratori,
ha tutto il sapore di un’evidente provocazione.
«Fiat pensa di poter non rispettare le leggi e neanche
le decisioni dei giudici», dice il segretario della
Fiom lucana, Emanuele De Nicola. «Sata non può
non ottemperare a quanto disposto dalla sentenza
», aggiunge il sindacalista, assicurando che, in
caso contrario, ci saranno precise conseguenze penali
per la casa automobilistica.
Dopo il telegramma inviato sabato scorso dalla
Fiat, in cui si chiedeva agli operai di non
tornare al lavoro, il sindacato dei metalmeccanici
della Cgil ha presentato una
diffida. E questo pomeriggio alle 14,
quando inizierà il secondo turno – quello
in cui è previsto il ritorno dei tre lavoratori
– Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte
e Marco Pignatelli, saranno accompagnati
, oltre che dai sindacalisti e
legali della Fiom, anche dall’ufficiale
giudiziario che dovrà far rispettare la
sentenza del giudice di Melfi. «Siamo
pronti a chiedere anche l’intervento dei
carabinieri», ha aggiunto De Nicola. Davanti
ai cancelli della Sata, oggi, non è
esclusa un’escalation di tensione.
Qualcosa del genere era accaduto, tempo fa, per
l’operaio Francesco Ferrentino, delegato della FlmUniti
Cub, accusato di propaganda eversiva dopo
aver distribuito un volantino del sindacato davanti
ai cancelli della fabbrica e licenziato. Un anno dopo,
quando è arrivata la sentenza che ne ordinava il
reintegro, anche in quel caso l’operaio dovette presentarsi
con l’ufficiale giudiziario per rientrare in
fabbrica. Una vittoria solo provvisoria.
Dopo poco Ferrentino venne licenziato per la seconda
volta. Ma il caso dei tre operai in questione
non ha precedenti assoluti, perché, questa volta, a
differenza di quanto accaduto in quelli passati, Fiat
è stata condannata per “atteggiamento antisindacale”.
Quindi – sostiene la Fiom – il mancato rispetto
della sentenza ha per l’azienda precise conseguenze
penali, secondo quanto previsto nell’articolo 650
del codice.
Nel frattempo dai microfoni di SkyTg24, Giovanni
Barozzino, anche a nome dei due colleghi ha dichiarato:
«Noi non siamo parassiti, vogliamo il nostro
posto di lavoro».
L’operaio ha ribadito che insieme ad Antonio Lamorte
e Marco Pignatelli si presenterà al posto di lavoro
«perchè l’ha ordinato il giudice con una sentenza.
Se per la Fiat quella sentenza è carta straccia
se ne assuma la responsabilità».
«Cosa significa –aggiunge Barozzini –vi paghiamo
lo stipendio? Io la mattina mi voglio alzare e voglio
sentirmi un uomo con la mia dignità, i miei diritti
e i miei doveri».
Con la comunicazione ai tre operai di non presentarsi
al lavoro, Fiat ha evidentemente
deciso di soffiare sul fuoco e alimentare
la fiamma di una tensione che ormai da
tempo brucia nello stabilimento lucano.
Maora ci si chiede cosa bolla veramente
in pentola e se l’atteggiamento di Fiat
non sia il frutto di una precisa strategia
che punterebbe, evidentemente, a ben
altri obiettivi. Le vicende di Melfi non
possono rimanere slegate dalla lettura
del contesto nazionale. Nè tantomeno
dai numeri negativi delle vendite degli
ultimi mesi. Sono queste le paure che accompagnano
il ritorno dei circa 8.000
operai di Sata e indotto dopo la pausa
estiva, anticipata da una settimana di cassa integrazione,
dettata proprio dal calo delle vendite.
C’è tensione e incertezza e le vicende degli ultimi
giorni hanno finito per esasperare un clima già rovente.
Ma la vera “prova di forza” si misurerà oggi
davanti ai cancelli di San Nicola. E quella della
Fiom, che a partire dalle 12 terrà un presidio davanti
ai cancelli, è una dichiarazione di guerra: «La
gravissima vostra ultima presa di posizione – si legge
nel documento della diffida a Fiat presentata sabato
– appare come una sfida non solo nei confronti
della scrivente organizzazione sindacale, ma anche
della stessa magistratura che ha emesso il decreto
contenente l’ordine di reintegro».
m.labanca@luedi.it
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