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di ANTONELLA CIERVO
NOVA SIRI – Ha descritto gli operai inglesi, le periferie britanniche, i sobborghi senza sogni, facendoli apparire per nulla diversi da quelli dei quartieri dormitorio delle città italiane. Nell’universo di lingue e colori diversi, ha dato la stessa identità al disagio della classe sociale più umiliata
Ken Loach, regista inglese, esponente della corrente del Free cinema (insieme a Tony Richardson, Joseph Losey e Lindsay Anderson) e pluripremiato autore di alcune delle pagine più belle del cinema di denuncia sociale, ha aperto martedì sera a Nova Siri la tappa lucana della rassegna Cinemadamare, creatura di Franco Rina giunta all’Ottava edizione, presentando il suo film “Il mio amico Eric”.
«Un pugno alzato in cielo». Immagina così il mondo del lavoro, delle fabbriche di oggi, se dovesse girare un film ed una ipotetica inquadratura di apertura e aggiunge: «In Inghilterra, oggi, su quattro persone una è disoccupata. Nelle città grandi, la percentuale aumenta: sono tre su quattro a non avere lavoro. La differenza di questo periodo storico è che la gente non spera quasi più che le cose possano migliorare. Negli anni ’60 e ’70 c’era un movimento che pensava che le cose sarebbero migliorate. Ora però le cose sono diverse: chi prima parlava a nome dei poveri, adesso sembrano essersi rivolti verso la destra. Chi si occupava dei diritti dei lavoratori, oggi è passato dalla parte della privatizzazione e si allontana sempre di più dalla sinistra. Le persone che dovrebbero far migliorare le nostre società, ci stanno abbandonando. In Inghilterra è la realtà della maggior parte dei sindacati che, invece, dovrebbero avrebbero dovuto la nostra prima linea di difesa. Oggi dobbiamo ricominciare daccapo con un foglio bianco, vuoto senza lasciarci tradire dalle cose che ci circondano. Molti registi stanno cercando di dimostrare al mondo cosa sta accadendo, ma il mondo commerciale li esclude».
Deluso dalla politica di Obama, contrario al precedente Governo Bush, Ken Loach non lesina riferimenti alla guerra in Iraq che definisce ormai «Privatizzata».
Mentre un bambino è impegnato nel conto alla rovescia ad alta voce del nascondino, il regista viene intervistato davanti al pubblico che affolla piazza Massimo Troisi. Il mix che in altre occasioni potrebbe infastidire, questa volta dà la giusta misura di quel legame con le città, la realtà, i muri e le case che unisce Loach alle sue opere.
E’ lui, infatti, il primo a non essere per nulla disturbato dai rumori di contorno, dai bambini che corrono in bicicletta attorno al palco sul quale sta parlando del mondo che cambia e di quanto le speranze di una volta sembrino scomparse nelle pieghe dell’individualismo.
«Il cinema non è un fenomeno da blockbuster – esordisce – e queste rassegne ci ricordano che, al contrario, è molto più grande, tocca le persone, racconta storie differenti».
Vincitore a Cannes per tre volte e nel 1994 con Premio alla Carriera a Venezia, ama il cinema italiano da sempre, come conferma al Quotidiano:
Il suo primo ricordo del cinema italiano?
«Risale agli anni ’50, era Ladri di biciclette. Ricordo di averlo visto in un piccolo cinema. All’epoca venivano chiamati film continentali».
Segue il cinema e i registi italiani contemporanei?
«Ne parlavamo proprio poco fa. Gomorra di Matteo Garrone mi ha colpito molto, come i film di Sorrentino e, prima ancora, il cinema dei fratelli Taviani».
Il cinema italiano ha vissuto una fase significativa, quella del neorealismo. Cosa hanno raccontato quei registi, che oggi non si riesce più a descrivere?
«Hanno raccontato una società, una classe operaia che apparteneva in quel momento più alla letteratura che non ai film. Dopo la guerra, si sviluppò un sentimento più forte, legato al cambiamento. Un aspetto che oggi non è più lo stesso anche se le persone hanno imparato a resistere comunque e nonostante tutto».
Come giudica l’attuale momento politico in Inghilterra?
«Negli ultimi 30 anni, dall’era Thatcher che fu un vero assalto ai diritti dei lavoratori, per continuare con Blair, abbiamo vissuto anni difficili. La classe operaia si è abbassata sempre di più».
Cosa pensa dei festival cinematografici che l’hanno spesso premiata?
«Sono il palcoscenico migliore per presentare i film che non sono esclusivamente commerciali»
Un piccolo schermo in una piccola piazza, come questa di Nova Siri, cosa le fa venire in mente?
«E’ una cosa incredibile, basta stare attenti alle zanzare».

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