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di ROBERTO LOSSO
Scorrendo la stampa locale, sembra di essere tornati al tempo della Dc trionfante e pigliatutto. Quando, a fronte di una qualsivoglia opera pubblica finanziata, sua eccellenza inviava un telegramma al segretario locale dello scudocrociato, il quale, a sua volta, faceva affiggere un aulico manifesto di ringraziamento. A prescindere della qualità dell’opera e dalle sue potenziali ricadute in termini di sviluppo e occupazione. Poteva essere una fontanella o un acquedotto. Il meccanismo era sempre lo stesso. La spirale pubblicitaria dell’apparato democristiano, ovviamente, diventava più stringente, se l’amministrazione locale era guidata da un sindaco comunista o socialista. In questi casi, anzi, bastava una promessa d’interessamento del ministro tal dei tali, rigorosamente comunicata a mezzo posta, perché scattasse la campagna promozionale sul governo amico che, nonostante tutto, vede e provvede. Era un rito feudale che, nell’Italia post-risorgimentale, aveva trovato la sua consacrazione nella visione giolittiana del potere. Era lo Stato, infatti, nella sua imperscrutabile vocazione al bene comune, che “premiava” le comunità locali, dispensando favori e benevolenza. La chiave di accesso ai finanziamenti pubblici, di conseguenza, non andava cercata nei criteri e nelle regole di una legislazione condivisa, bensì nella “quantità” del consenso politico-elettorale che, nei singoli territori, raccoglieva il partito della Dc. Fu, d’altra parte, lo stesso Giulio Andreotti a riconoscere l’esistenza di questa commistione tra interesse collettivo e interesse elettorale con l’intramontabile aforisma secondo cui “il potere logora chi non ce l’ha”. Già allora, però, c’era chi ne coglieva la limitata prospettiva democratica. “Lor signori”, quelli dei telegrammi e dei manifesti, per esempio, furono molto spesso oggetto della tagliente ironia di Mario Melloni, l’indimenticato Fortebraccio, e dei suoi corsivi lucidamente trasgressivi, che, sull’Unità, “dipingeva” i vizi nascosti e le furbizie malandrine della politica italiana del suo tempo. Possibile che, oggi, nell’Italia del terzo millennio, smaliziata e vaccinata come dovrebbe essere un Paese che ne ha visto di tutti i colori, ci siano gruppi dirigenti che ritengano fruttuoso e lungimirante riscoprire e praticare l’utilizzo propagandistico dell’organizzazione del proprio partito come cassa di risonanza di iniziative istituzionali che riguardano il futuro e la qualità della vita delle comunità amministrative? E che affidino ai coordinatori locali della maggioranza, anziché ai sindaci e agli amministratori che le rappresentano, la “buona novella” del salvataggio miracoloso di ospedali a rischio-chiusura o dell’avvenuta erogazione dei contributi per il pagamento degli affitti? Per quanto incredibile possa sembrare, la sensazione è che quest’utilitaristica forma di comunicazione stia ritornando di moda. È sempre più frequente, infatti, leggere “pistolotti” che anticipano ai cittadini le decisioni che, di volta in volta, saranno assunte dalla giunta regionale sull’universo mondo dei bisogni e delle aspettative della realtà in cui vivono. A metterli in rete, il più delle volte, sono i coordinatori locali del Pdl. Negli ultimi tempi, però, contribuiscono anche quelli dell’Udc. All’inizio, sembrava un eccesso di zelo da parte dei tanti dirigenti politici “convocati a Palazzo per consultazioni”. Adesso, invece, per le dimensioni che sta assumendo, il fenomeno assomiglia sempre di più ad una riedizione consapevole e pilotata della vecchia strategia propagandistica del telegramma-manifesto. Anche l’“incipit” delle dichiarazioni giustificano questa obsoleta sensazione. Gli uomini del Pdl, infatti, sui singoli argomenti, peraltro spesso socialmente rilevanti e impegnativi, lasciano chiaramente intendere di essere ufficialmente delegati ad esprimere il pensiero del presidente Scopelliti. In alcuni casi, infatti, usano il “virgolettato” per rafforzare l’attendibilità dell’impegno che l’istituzione regionale avrebbe assunto nei confronti della cittadinanza. Il “cuore” della questione, ovviamente, non è il metodo. Anche se così lontano dal comune sentire della gente. Quello che preoccupa, al contrario, è la quantità e la qualità delle variegate promesse che i plenipotenziari del Pdl mettono in bocca presidente Scopelliti. Riuscirà a rispettarle tutte?

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