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di ROBERTO LOSSO
Palmi, 24 luglio 1985 – Da ieri sera Leonida Rèpaci riposa accanto alla moglie Albertina. Nel cimitero di Palmi in contrada Santa Maria. A pochi passi dalla “spiaggia della Tonnara” dominata dallo scoglio dell’ulivo. Paesaggi, questi, sempre presenti nel suo immaginario poetico. Lo hanno accolto e salutato in tanti. Prima nel Palazzo della Cultura, dove era stata allestita la camera ardente, e dopo nel Duomo cittadino, dove si sono svolti i funerali. Autorità e scrittori. Ma anche cittadini comuni. Quelli che, nei suoi scritti, ritrovavano l’orgoglio delle proprie radici e avvertivano la responsabilità di farsi popolo per reclamare i propri diritti. È stato un altro illustre palmese, Antonio Altomonte, a ricordarne le qualità culturali e umane. Poco più che ventenne Rèpaci si era trasferito a Roma. Lì trovò l’incoraggiamento dei maggiori letterati del tempo, che, come lui, operavano nella stampa antifascista. Nel ’25, il regime lo mise all’indice, vietandogli ogni attività pubblicistica. Non riuscì, però, nonostante il carcere, a fermare l’impetuoso fluire del suo pensiero libertario e meridionalista. Egli, infatti, continuò a “vedere il mondo dalla parte di chi subisce”, soffermandosi con particolare intensità sulle tristi condizioni della “sua” Calabria “grande e amara”. Oltre che nell’universalità delle sue opere, Leonida Rèpaci rivivrà attraverso il “Premio Viareggio” che egli stesso fondò, nel 1929, insieme a Alberto Colantuoni e Carlo Salsa. Da allora, il prestigioso appuntamento ha contribuito a scrivere la storia contemporanea della cultura italiana. Rivelandosi, fin dalle prime edizioni, un fenomeno di vasta partecipazione popolare e di compiaciuta complicità tra letteratura e vita, sogno e realtà, tendenze artistiche e passioni civili. La Regione Calabria e il Comune di Palmi, nel frattempo, hanno assicurato il massimo impegno per custodirne la memoria, promuovendo «ogni utile iniziativa per divulgarne il pensiero e l’opera».
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