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di FRANCA FORTUNATO
Nel leggere il “codice” Vaticano contro la pedofilia, sono rimasta prima incredula, poi indignata nel leggere che l’ordinazione sacerdotale femminile viene classificata come “delitto più grave”, alla pari di un sacrilegio eucaristico o del reato di pedofilia, puniti con la scomunica. So bene che per tante donne consacrate, alcune sono mie amiche, l’ordinazione sacerdotale non è il massimo dei loro desideri, non solo perché molte non condividono il modo come gli uomini fanno i preti, ma essenzialmente perché per loro, come per ogni donna, c’è qualcosa di più grande e di più vero a cui aspirare, la libertà femminile come fedeltà a se stesse, al proprio desiderio profondo, a Dio e alla sacralità della loro scelta di vita. Questo per dire che non scrivo per rivendicare il sacerdozio femminile, ma per dire la mia indignazione verso uomini che si autorizzano a definire quelle donne, che hanno o potrebbero avere il desiderio di fare le preti, ree di un “delitto grave”, al pari dei pedofili. Questo è assurdo e inaccettabile, anche perché non c’è alcun fondamento evangelico e divino nell’esclusione delle donne al sacerdozio. È solo una scelta arbitraria di potere, da parte di un clero che da duemila anni ha utilizzato il Gesù – maschio per identificarsi con lui e cancellare le donne. Una donna, cattolica, teologa, amante del Dio al femminile, Ivana Ceresa, che nel 1998 ha fondato, l’ordine della Sororità, la cui Regola fu approvata dal vescovo di Mantova nel 2002, parlando alle sue sorelle del sacerdozio femminile, così disse: «Come mai gli esegeti uomini non si sono meravigliati che alla cosiddetta ultima cena ci fossero solo uomini? Nel vangelo sembra che ci siano solo uomini. Gli esegeti che sanno tutto sulla condizione delle donne nella Palestina, degli uomini e della cena di Pasqua e che ci tengono così tanto ad attaccarsi alle notizie storiche, come mai non hanno mai detto che le donne non potevano non esserci quella sera lì, che fra l’altro li mantenevano anche (c’è scritto nel Vangelo), queste donne qui dove volete che le abbiano mandate la sera in cui si celebrava la Pasqua ebraica? Anzi le donne ci dovevano proprio essere. Che le donne stavano con loro a Gerusalemme in quell’occasione lì c’è scritto, eccome, perché viene fuori da tutto; sono le uniche a non scappare dopo. Dov’erano? Erano lì, erano sicuramente lì. Non che abbiano fatto da mangiare e poi siano scappate via, impossibile! La celebrazione della Pasqua prevedeva che fossero lì. Infatti negli atti degli Apostoli Luca dà per scontato che loro si riunivano nel cenacolo, dove dimoravano. E come mai non le hanno messe? A un uomo il dubbio non gli viene, tanto siamo andati avanti duemila anni così. Però alle donne è venuto. Quando al Papa (nel 1982) hanno offerto di lavare i piedi anche ad alcune signore, lui con molta durezza ha detto che non se ne faceva niente. E aveva ragione, perché ammettere che c’erano vuol dire ammettere una cosa terribile, e cioè che quella sera lì sono stati ordinati tutti quelli che c’erano lì, comprese le donne. Perché non è che c’è un rituale narrato nel Vangelo per cui sono stati ordinati, lui ha detto «“Fate questo in memoria di me”». E sugli evangelisti aggiunse: «Luca non era mica fuori del mondo, era un maschio come tutti gli altri. Luca, Matteo e Marco avevano le loro categorie mentali. Per loro una donna in qualche modo coinvolta in azioni sacre era qualche cosa di assolutamente inaccettabile, che soltanto un uomo liberato come Gesù poteva fare». Dunque, come si può considerare un “delitto grave” la legittima aspirazione di quelle donne che volessero essere consacrate sacerdoti? Peccato che un Papa teologo non tenga in nessun conto la Parola femminile. Peccato per lui e per quella chiesa clericale, prigioniera di quel patriarcato che è già finito.
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