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di FRANCO CIMINO
E’ morta Eleonora Chiavarelli, aveva 95 anni. Detta così, la notizia non richiama attenzione e neppure quella pietà che nella lunga vecchiaia dell’uomo
umanamente s’annulla. Scritta diversamente, il quadro cambia. È tornata, lei così profondamente cattolica nella Casa del Padre, Norina Moro, la vedova del Presidente della Dc. Barbaramente ucciso dalle Brigate Rosse il 9 maggio del 1978. Norina è stata donna forte. Nel carattere, nella coscienza, nella cultura. E nella fede. Legata fin dai banchi del liceo da un amore profondo ad Aldo, ha rinunciato a tutto per accompagnarlo nelle fatiche della politica e degli studi, oltre che per proteggere da tutto e da tutti quei quattro figli che dalla felice unione sono nati. La dolce “signora di ferro” è riuscita nell’intento. Ha favorito l’ascesa del suo Aldo, stimolando il suo genio creativo, la sua passione per la politica e per gli studi. Ha curato amore per la famiglia, che nel grande statista coabitava con l’amore verso i giovani e il forte senso dello Stato. Vale per tutti, ma di più per il leader della Democrazia Cristiana: senza l’apporto della sua compagna di vita, egli non sarebbe stato quel grande uomo e quel grande politico che fu. Norina è stata grande, non perché ha saputo fare la mogliettina dentro quella foto sbiadita che vede la moglie del politico pigramente nascondersi dietro di lui. A significare la debole consistenza della sua presenza e l’inutilità della sua azione. È stata grande perché è rimasta se stessa. Sempre. Specialmente, quando la gloria arrideva al marito, ingrandiva i loro spazi e apriva a nuove grandi possibilità. Anche di ordine materiale, quelli cui aspirano tutte le mogli e le madri del mondo. È rimasta la ragazza timida e rigorosa, impegnata negli studi e nell’associazionismo cattolico. Schiva della vetrina e delle vetrine, delle maschere sociali e dell’ipocrisia. Lontana dai trucchi della vanità femminile e di quelli della vita. E non perché non fosse bella o piacente, ma perché fortemente illuminata da quei principi che vogliono la bellezza della persona ricercarsi in tutta la sua profondità. E del cuore e della mente. Perché da lì può raggiungere le opere che possono essere realizzate per il prossimo. Gli stessi principi cui si uniformava la condotta pubblica e privata di Aldo, che pure alla bellezza spirituale e culturale evidentemente aggiungeva quella fisica. La bellezza di Norina, non consentiva le luci della ribalta. Si difendeva e rafforzava nella riservatezza e nell’umiltà. Le principali che possono ampliare lo spirito di servizio e dare più forza alla fede. Una delle più grandi opere dell’uomo è dar vita ai figli. Uno dei più esaltanti servizi all’umanità è crescerli buoni e sani, forte dell’amore per gli altri. Norina ha camminato lungo questa strada che non è stata sempre agevole e sicura. Ha saputo lottare e mettere il suo corpo avanti a quello sacro della famiglia. Norina, donna del silenzio. Donna di grandi silenzi. Interrotti solo in occasione della tragedia che l’ha colpita. In quei drammatici 55 giorni del rapimento di Aldo, è apparsa diversa e identica a se stessa. L’unica fastidiosa variante era la pubblicità che ne veniva dal rapimento, portando la sua immagine dinanzi all’avida curiosità popolare. Ha lottato come una leonessa per salvare il marito. La sua opposizione alla linea della fermezza e della non trattativa non derivava solo dalla disperazione di tenere in vita il suo uomo. Ma, soprattutto, dalla consapevolezza che fu anche di Aldo prigioniero, che la vita umana, ogni vita umana, valga più di ogni ragione politica. Più della stessa “discutibile” ragione di Stato. Nasce, la sua e quella di Aldo, da quell’Umanesimo cristiano che fu il pensiero filosofico che ha ispirato la propria condotta di vita e la stessa idea dello Stato. Uno Stato per la persona, e la persona al centro del divenire dello Stato. Che non è marmorea istituzione o inanimata cosa. Norina ha lottato contro tutti per salvare il marito. Ha puntato l’indice d’accusa contro gli “amici” che non l’hanno salvato e quegli uomini del potere che l’avrebbero sacrificato per salvare loro stessi e il potere. Ha condannato con il silenzio la Dc, prima ancora che il suo Aldo lo facesse dal “carcere”. E prima di lui ha respinto l’ipocria dell’interesse delle Istituzioni verso l’annunciato sacrificio della vita dello statista. Ha urlato la sua verità. E ha lottato, anche nei processi, per cercare la verità. Quella vera, ancora purtroppo da scrivere. Non si è mai arresa. Il silenzio cui è ritornata dopo che accecanti luci degli anni Ottanta, non era arrendevolezza o rassegnazione. Era, invece, la forma, rigorosa e nobile, di esprimere la sua indignazione. Contro il potere e quel senso di inumanità che l’avvolge. Di lei ci resteranno il suo esempio di donna vera. Il suo dolore composto e la sua dignità. E le parole che il suo caro Aldo, come ultime dalla prigione, le ha scritto, avvicinandosi la morte. Parole d’amore. Dell’amore eterno. Poesia della vita. Della vita infinita.

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