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di LIDIA PICCOLI
Ritornare con il pensiero alla Repubblica di Platone significa oggi appellarci ad un concetto di Giustizia come atto essenzialmente sociale che rimanda ad una giusta spartizione di ruoli in base a delle attitudini naturali nonché personali. Tale status trova radici in quella giustizia individuale dove la tripartizione dell’anima, in senso prettamente platonico, fa da garante. Se non è l’assunzione di uno stato utopico che può oggi guidare i nostri pensieri ,catapultati nell’orda di un vissuto pervaso da altri modelli, richiamare l’attenzione su una società più vivibile nella morsa degli stessi è, non solo propinabile, ma necessario. Se poi, con un piccolo salto, riuscissimo a far nostre proposizioni dimenticate, quali quel buon rinvio a delle attitudini che non ci vedono uguali nell’adempimento e nello svolgimento dei compiti, senza ricorrere a formule consunte da slogan propagandistici, forse riusciremmo a discernere quali grandi opportunità riuscirebbe ad offrire la scuola se ad orientare non fosse il conteggio numerico che stabilisce classi e quindi docenti, ma l’interesse del singolo ragazzo nella sua unicità di persona. Dire che ogni fallimento scolastico è riconducibile a scarso interesse suscitato nell’allievo è formula vecchia che non aiuta e che svia volutamente e scientemente responsabilità altre o egoismi da mestieranti. Che vi siano differenze attitudinali è verità che non può essere occultata in nome di una fantomatica uguaglianza che ci vorrebbe tutti uniformati a vestire non solo gli stessi abiti ma anche le stesse teste. Purtroppo, la scuola oggi è diventata una grande azienda che propina i suoi prodotti a prezzi competitivi. Seguiamo parametri culturali troppo bassi per poter parlare di cultura. Così non è da stupire se Internet fa da padrone e da garante anche negli excursus interdisciplinari proposti agli Esami di Stato. Ragazzi che pensano poco e male, ragazzi semplificati, omologati che da anni ormai rincorrono “Peter Pan” con relativo percorso stilato ad arte o “i sette peccati capitali”. Che fossimo amanuensi , da tempo lo si sapeva ma che fosse la scuola ad avallare tali procedure facendo finta di non sapere è cosa diversa. Ancora più diversa se elargiamo a piene mani voti ai colloqui di maturità seguendo criteri tutti nostrani. Non mi stanco di dire che la scuola va ripensata. Ma seriamente. Partire da un’assunzione di responsabilità che deve caratterizzare la classe docenti non sarebbe male. Perché la scuola non impartisce, quando le impartisce, solo teorie. Essa ha il dovere prioritario di correggere atteggiamenti e scelte, di propinare valori, di indirizzare, di farsi modello. Dire no ai sostenitori di un bonismo che ha calpestato ogni forma di legalità all’interno delle aule, non ci fa diventare più cattivi ma forse soltanto più corretti, più giusti, più chiari e meno sospesi in una griglia valutativa che fa del compromesso un inciucio insulso e fortemente improduttivo. Capire che ogni teoria, in quanto tale, non può ergersi come parametro assoluto , che sono i tempi a determinarne la validità o il suo superamento, ci servirebbe a capire che un’ analisi più consona della società odierna non sarebbe da sorvolare per chi si propone come educatore. La scuola non deve giocarsi nel presente come momento di occultamento, di rifocillamento, di passatempo. La scuola è progettazione per un futuro lavorativo da giocarsi a suon di concorsi. E se anche lì ci sarà posto per scribi e frodi varie, ciò non toglie che successivamente, nella pratica lavorativa, nessuno vorrebbe trovarsi dinanzi un medico ignorante o un ingegnere che non ha un’adeguata preparazione delle scienze di base. Ma con fare tutto italiano ci sarà sempre il buontempone che si avvarrà della formula: «Diamo tempo al tempo», quel tempo che nascondendo inadempienze conoscitive si invererà in pratica. Una pratica che dovrebbe essere sostituiva di conoscenze, quasi come se si trattasse del bravo apprendista mestierante da vecchie botteghe. Il dissenso verso questo modo di procedere e di pensare è forte, ma proprio tale dissenso dovrebbe farci riflettere sul ruolo importante che la scuola oggi ha il dovere di far suo. Un ruolo prioritariamente conoscitivo, ma anche, e non di meno, un ruolo di vera e completa formazione. Avallare atteggiamenti superficiali, premiarli con promozioni non meritate, definire “poverini” chi, non povero di tasca ma solo di fattivo impegno, è il peggiore insegnamento che si possa impartire in una società deresponsabilizzata e deresponsabilizzante come quella attuale. Se poi a sorreggere il lavoro dei docenti ci fossero più libri e meno chiacchiere la cosa non guasterebbe. Appellarsi alla responsabilità che ognuno di noi è tenuto ad avere in campo lavorativo è richiamo etico, ma non solo. E’ prioritariamente un modo per non deresponsabilizzare noi stessi se le cose non vanno come vorremmo. Perché se è vero che la società attuale è attanagliata da mille contraddizioni, da miriadi di problemi, noi, tutti noi, non siamo immuni da colpe. Se il gatto si morde la coda noi ne abbiamo appreso bene l’arte. Capire dove il male si nasconde è essenziale se lo si vuole veramente sconfiggere. Munirsi di paraocchi vuol dire sostare nella “malafede”, come Sartre insegna. E allora che cambi la scuola perché i nostri giovani devono, con impegno e coraggio, costruire una società più vera e meno inibitoria di parole e idee veramente nuove. Che sia punto di inizio e di superamento di ogni forma di assistenzialismo da vecchia Repubblica. Perché Il punto di partenza di qualunque progetto di miglioramento della società siamo noi stessi, ciascuno di noi nella sua propria umanità individuale. Che richiama revisioni di vecchie strategie, vecchi metodi, vecchie logiche. La scuola deve farsi luogo nuovo, luogo di più alti incontri, luogo di menti atte a pensare. Perché il pensiero è sempre l’antenato dell’azione. Non è più il tempo di de profundis, non è più tempo di requiem anticipati, ci vuole altro. Ci vuole nerbo, chiarezza e pragmatismo, soprattutto, in primo luogo, consapevolezza. Nessuno è immune da colpe, i mali di ogni società dipendono dai valori trasmessi, dalle omissioni, dalla faciloneria. Dalla bugia.

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