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di ANTONIO TURSI
Alcuni mesi fa ho ricevuto l’ultimo lavoro di Stefano Cristante, Comunicazione (è) politica: scritti sull’opinione pubblica e sui media (Bepress Edizioni, Lecce). Il volume propone, rielaborandolo e approfondendolo rispetto a precedenti lavori dello stesso autore, un interessante e articolo modello teorico per lo studio della sfera pubblica. Ma essendomi giunto nel pieno della bagarre sulle candidature alle elezioni regionali, la mia curiosità è stata attratta dalla seconda parte del volume, quella intitolata “Polittico pugliese”, in cui l’autore analizza gli stili comunicativi e le retoriche in Nichi Vendola e altri fatti politici accaduti tra Bari e Lecce negli ultimi anni. Ascoltando in qualche occasione Vendola, leggendo qualche suo scritto nonché i molti commenti che la stampa gli ha dedicato (ricordo un numero monografico di “Gli Altri”), mi sono confrontato con le tesi di Cristante che, dalla prima ora, ha sostenuto Nichi anche offrendogli le sue competenze in comunicazione politica (su cui dirige un Osservatorio presso l’Università del Salento). Legando insieme queste occasioni di riflessioni, ritengo che Vendola sia una rosa che presenta un bel colore e una ottima fragranza. Il bel colore – sostanziale per le rose – è la sua capacità di leggere i processi sociali contemporanei. Di comprendere le dinamiche globali e saperle legare alle istanze locali. Di cogliere la centralità di fenomeni come la precarizzazione del lavoro. Come dice Cristante, è stato capace già nelle elezioni del 2005 di dare “uno spessore culturale” al centrosinistra, di farla essere all’altezza dei tempi. Cosa decisiva, Vendola ha saputo trasmettere queste idee con uno stile coinvolgente, provocatorio, appassionante, ricordando addirittura i tratti di un altro nome pugliese eccellente, Giuseppe Di Vittorio. Vendola ha saputo emozionare e in particolare ha saputo far intravedere un nuovo orizzonte di senso, ha saputo dare speranza. Bene ha fatto Bill Emmott, già direttore di “The Economist”, a paragonarlo a Obama. Questa rosa, rossa e profumata, sembra da cogliere soprattutto in un campo nel quale appaiono solo rose grigie e inodori. Fuor di metafora, se Bersani dovesse presentarsi in primarie contro Vendola credo che non avrebbe molte chance di farcela. Personalmente opterei per Nichi. Ma ogni rosa ha le sue spine. E Nichi non fa eccezione. Intanto, non è un “nuovo” della politica. È stato per anni deputato e ai vertici di un partito politico. Non rappresenta in vero un ricambio generazionale di cui la politica italiana ha bisogno. Non che l’età garantisca capacità di analisi e di azione, ma bisogna pur chiedersi perché i vari Blair, Zapatero, Obama siano giunti ai vertici a quaranta anni e Nichi sia già sopra i cinquanta. Solo in Italia a cinquanta anni si è ancora giovani. C’è dunque una generazione che rischia di non essere mai classe dirigente. Inoltre, Nichi è potere o a dire establishment. Nelle primarie e nelle regionali di marzo, Nichi furbescamente si è presentato come l’anti establishment, ma in verità era il governatore in carica, con tutte le leve di comando in mano. Il governatore che ha appaltato la sanità, cioè il 70% del bilancio, a gruppi di politici e imprenditori ora sotto inchiesta. Il migliore alleato di Nichi è stato D’Alema. Senza la sua avventatezza, senza che D’Alema gli avesse permesso di presentarsi contro gli apparati del partito, contro quello che è stato facile etichettare come marionetta del potere, Nichi non avrebbe potuto giocare la partita che ha saputo vincere. Ancora, Nichi è stato uomo di partito per lungo tempo, ma non ha esitato ad abbandonare il suo partito e fondarne un altro appena ha perso le redini del comando. Nichi ha cioè corroborato l’immagine di un partito-autobus da prendere sino alla fermata successiva. Con ciò contribuendo alla crisi della forma partito a vantaggio dell’ascesa carismatica del leader. È questa la spina più pericolosa: ha bisogno la sinistra di un Berlusconi rosso? Vendola giustamente ha denunciato l’autoreferenzialità dei dirigenti del Pd, il distacco dalla loro gente. Ma Vendola non ha proposto altra mediazione se non quella di farsi lui direttamente interprete della gente. Un rapporto leader-popolo che la politologia definisce con il termine populismo. E come Berlusconi mostra “chi governa in nome proprio, in democrazia può giurare di farlo in nome del popolo”, “per amore del popolo” (come recentemente ha segnalato Gustavo Zagrebelsky). In verità, Vendola una sorta di mediazione l’ha proposta: le fabbriche di Nichi. Come dice Cristante: “la creazione di una rete permanente di gruppi e di associazioni che pratichi la partecipazione politica, e che sia in grado di influenzare la direzione della cosa pubblica”. Ma lo stesso Cristante, come già detto un sostenitore di Nichi, valutando gli anni del suo primo governo, conclude: “le possibilità che il movimento di sostegno a Vendola divenisse una rete permanente di discussione e di stimolo non erano molte. Ma il campo non è stato irrorato, e il giardino non è germogliato”. La promessa partecipazione attraverso le fabbriche potrebbe rivelarsi solo una trovata a uso e consumo di eventuali prossime primarie. Cogliere la rosa Nichi senza farsi pungere da queste spine è difficile. Così come è difficile ripulire questa rosa da tali congenite spine. Forse conviene esplorare meglio il campo e vedere se non vale la pena di gettare qualche altro seme e impegnarsi sin d’ora a farlo crescere.
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