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di VITO TETI
Mannaggia a me,a questo strabenedetto e stramaledetto paese, il mio che porta bene e qualche volta porta male. Tutta colpa della scomunica di un Papa nel medioevo: qui va sempre tutto male. Mannaggia alla mia scelta di vedere le partite dell’Italia con gli amici che organizzano aperitivi, pranzi, digestivi, bevute, prima o dopo la partita. Mannaggia, davvero, rischiavo di investire, tornando veloce da Cosenza dove i miei colleghi italianisti, invece di vedere la partita, facevano una riunione importantissima e irrinviabile, e non possibile in nessun’altra ora dell’anno, sulla potenza e sul destino del racconto nella letteratura italiana. Faranno una pausa caffè partita, ma poi di corsa al lavoro, alla cultura, alle cose serie. Ho rischiato, e non poco, sulla strada che porta da S. Onofrio a S. Nicola – quella che ha più buche dei buchi nella rete del portiere, nonostante venga quotidianamente attraversata da sindaci, consiglieri provinciali, regionali – di andare contro una macchina come nel 1978, quando correvo per non perdermi Italia-Francia, finita 2 a 1 per noi. Perché poi? Per arrivare a casa e scoprire, mi avesse avvisato mia moglie, avessero chiamato gli amici, che la corrente mancava. C’erano lavori in corso, oggi, naturalmente. Che faccio? Dove vado? Mi rassegno. Chiamo per telefono un amico a Roma, non patito di calcio, che però guarda i mondiali, e quindi mi saprà dare con asciuttezza i risultati, senza fronzoli e senza commenti. Comincia la partita, l’ottantesima della nostra Nazionale ai mondiali. L’inno, mi dice il mio amico Fabio, viene cantato con rabbia dai calciatori, con mestizia da Lippi. I calciatori italiani cominciano in maniera decisa, brillante. De Rossi, Cannavaro e Gattuso sono rinati, sono tornati giovanotti. Sfortuna. Segna la Slovacchia. Tranquillo. Mica accadrà come col Paraguay e come con la Nuova Zelanda, questa volta pareggeremo e poi vinceremo. Rassicuro il mio amico, che mi cita tutti gli scrittori che hanno scritto di calcio. Li conosco, ti prego, dimmi come va. Continua il nostro bel gioco. Lippi è sereno, cambia qualcosa nel secondo tempo. Entrano un certo Maggio e un certo Quagliarella, ma soltanto per dare la possibilità a tutti di giocare, di dire io c’ero. Entra anche Pirlo. Giusto. E’ in forma, non può non partecipare del nostro trionfo che verrà. Mannaggia, arriva il due-zero. Il mio caro amico, all’altro capo del telefono, mi dice: «Vito, non vorrei che non ci fosse il due senza tre». Che ti viene in mente, Fabio, da noi si dice “una volta si fotte la vecchia”, questi ci hanno fottuto due, adesso basta. Adesso vedrai che segniamo. E così accade. Gol bellissimo, voluto, cercato. Te lo avevo detto, carissimo, ce la facciamo. Sarà dura, ma ce la faremo. Bossi – che di persone che comprano partite, partiti, uomini, donne e sentimenti se ne intende – verrà punito per le sue allusioni e per il suo tifare contro. Noi non siamo la Francia, la cui disfatta ha significato anche fine del facile sogno dell’integrazione e della “multietnicità”, qui da noi il trionfo cementerà l’unità della nazione, ne impedirà lo sfarinamento. Che dici? Hanno segnato un altro gol gli slovacchi? Sei sicuro? Mannaggia. Sereno. Ce la faremo. Combattono come leoni, vecchi e giovani, difensori e attaccanti. Tocchi perfetti, passaggi precisi, marcature impeccabili. Evviva, segniamo il secondo gol. Il grande Quagliarella. Il nuovo innestato, perfettamente, sul vecchio. Il nuovo tirato fuori al momento giusto, né un tempo prima né un tempo dopo. Noi italiani, gli attributi li tiriamo quando servono, al momento giusto. Non solo grinta e tenacia. Lettura perfetta degli stati d’animo, della psicologia, della voglia, della tenacia dei calciatori. Se no, perché sarebbe tornato ad allenare Lippi? Mica è uno che gioca a perdere! Mica litigherebbe con i giornalisti se non fosse sicuro del fatto suo! La nostra difesa tiene. Perfetto. Ci hanno dato un altro gol, prima annullato per fuori gioco. E anche quel gol che sembrava non essere entrato. E’ valido. Quattro a tre. Ci siamo qualificati. Che dicono, Mario, i telecronisti? Impazziti. Di gioia. L’Italia si è qualificata con un gioco spumeggiante, incisivo, arioso. Quagliarella piange di gioia. Lippi, commosso, teso, riferisce il mio amico, vuole condividere con i suoi eroi la vittoria. Gattuso e Cannavaro rispondono con garbo e bonari a chi li aveva dati per finiti. La vittoria rende buoni e annulla la voglia di togliersi i sassolini. Certo, adesso, dobbiamo migliorare. Non siamo al massimo, ma sulla buona strada. Sei sicuro, Fabio? Ma certo, tutti i tifosi italiani piangono. Sono contenti. Commossi. Mannaggia a me, al paese, alla corrente, alla maledizione del Papa, mi sono perso una delle più belle partite della Nazionale, di quelle che restano nella storia e della quale diremo: noi c’eravamo. I campioni che giocano in Italia sono tutti stranieri? Ci fanno un baffo. Noi abbiamo i nostri giovani che sanno il fatto loro anche se trovano poco spazio nelle squadre di Club. 4 a 3, come Italia-Germania del 1970. Alla faccia dei tedeschi che ci odiano, ci detestano perché li battiamo sempre e perché il nostro calcio latino, fantasioso, organizzato, tra Nord Europa e Sud America, tra Sud Europa e Africa, è il più divertente e incisivo di tutti. Abbiamo vinto 4 a 3, come con la Nuova Zelanda nella scorsa Coppa d’Africa, quando si vedeva già che di strada ne avremmo fatta. Grazie, Fabio. Sei stato bravo. Paziente. Quattro a tre. Ti saluto. Non sento i caroselli, ma sicuramente attendiamo la prossima partita. Sotto a chi tocca. Attenta a te, Olanda, faremo un boccone del tuo calcio totale. Noi abbiamo qualche difficoltà con le squadre deboli, che non ci fanno giocare, con le grandi ci esaltiamo. Vedrai.
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