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La Procura della Repubblica di Locri ha avviato un’inchiesta che vede indagate 41 persone, molte delle quali titolari di imprese tra i quali diverse di etnia rom, accusate di violazione della normativa sullo smaltimento dei rifiuti. Gli investigatori stanno anche valutando un’ipotesi di truffa.
L’operazione riguarda un ampio comprensorio della provincia di Reggio Calabria, racchiuso tra Brancaleone e Marina di Gioiosa Jonica, eed ha impegnato circa 100 uomini del Corpo Forestale dello Stato, coordinati dal Comando Regionale Calabria, coadiuvati dall’alto da un elicottero del Nucleo Operativo Aeromobili del Cfs di Lamezia Terme.
L’Ufficio del G.I.P. del Tribunale di Locri, condividendo le ipotesi investigative formulate dalla Procura e dal Corpo forestale dello Stato, ha disposto il sequestro preventivo dei complessi aziendali nonchè il sequestro preventivo di 41 automezzi di trasporto tra cui autoarticolati e semirimorchi utilizzati per le predette attività illecite. Risultano indagate 41 persone, tra cui titolari d’impresa, tutti di nazionalità italiana, diversi dei quali di etnia Rom. L’indagine denominata «Scrap Iron» riguarda l’attività di polizia giudiziaria ambientale che il Nucleo Investigativo di Polizia Ambientale e del Corpo Forestale dello Stato di Reggio ha condotto, con il coordinamento del Sostituto Procuratore della Repubblica di Locri Giuseppe Adornato, sulla gestione dei rottami ferrosi nel comprensorio di Marina di Gioiosa Jonica, comune della locride in provincia di Reggio Calabria.
Dalle indagini sarebbe emersa l’esistenza intorno alla Ditta «Ferro & Acciai femia S.r.l.», con sede a Marina di Gioiosa Jonica, di una fitta rete di «conferitori illegali» di rifiuti speciali pericolosi e non. Un’illecita attività diretta al recupero presso la Ferro & Acciai Femia S.r.l. di un’ingente quantità di rottami ferrosi, recupero formalmente diretto alla produzione di materia prima secondaria (M.P.S.) per l’industria metallurgica, ma in realtà – secondo l’accusa – finalizzata allo smaltimento illecito di rifiuti in quanto presso tale ditta, una volta pervenuto tramite di soggetti non autorizzati sia alla raccolta che al trasporto, non veniva svolta alcuna operazione volta al recupero.
Le indagini, protrattesi per mesi, avrebbero permesso di documentare l’esistenza di una vera e propria organizzazione, finalizzata al traffico illecito di rifiuti speciali anche pericolosi, con un ruolo centrale svolto dalla «Ferro & Acciai Femia s.r.l.».
Si sarebbe accertato inoltre che nella stessa ditta veniva svolta l’attività abusiva di autodemolizione di veicoli fuori uso (rifiuti pericolosi) e vendita di pezzi di ricambio usati. Il titolare utilizzava fraudolentemente per trasformare i rifiuti i documenti di una ditta individuale a lui stesso intestata ed autorizzata ad operare nel settore delle autodemolizioni esclusivamente nella sede di Sala Bolognese (BO).
E così, ingenti quantitativi di autoveicoli di ignari cittadini della costa jonica reggina e non solo venivano rottamati ufficialmente in Emilia Romagna anche se i rifiuti derivanti partivano direttamente da Marina di Gioiosa Ionica alla volta delle acciaierie. La condotta criminosa dell’organizzazione, si concretizzava sostanzialmente nell’illecita commercializzazione di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi dichiarandoli, fraudolentemente, come materie prime secondarie. Tale attività consentiva – secondo gli inquirenti – da lungo tempo agli indagati di raggiungere un duplice ingiusto profitto consistente nell’evitare gli oneri dovuti per legge circa il corretto avvio a recupero-smaltimento dei rifiuti prodotti-raccolti nonchè, il cospicuo guadagno dovuto alla successiva commercializzazione del rifiuto, surrettiziamente qualificato quale materia prima secondaria da destinare all’industria siderurgica.
La stessa ditta, attestando la surrettizia produzione di M.P.S., provvedeva alla sua commercializzazione verso imprese compiacenti individuate in Puglia e Basilicata, con il conseguimento di ingenti ed ingiusti profitti. Il motivo fondamentale per il quale gli indagati, sin dalle prime operazioni, facevano perdere la tracciabilità del rifiuto, consiste – sottolienano gli inquirenti – nel fatto che i siti finali di destinazione, quali le acciaierie, non sono autorizzate a ricevere rifiuti e sono sprovviste delle necessarie tecnologie previste dalla norma per la riduzione delle emissione fumi in atmosfera, con grave potenziale pericolo per la salute pubblica e l’incolumità dei cittadini. Tali siti di smaltimento, quindi, – si fa rilevare – per poter operare, hanno la necessità di far apparire che i rifiuti ferrosi giungano come materie prime secondarie e non come rifiuti, accompagnati da comuni bolle di accompagnamento e non da F.I.R.

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