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di VITO TETI
Vuvuzela: Caro vecchio amico Jabulani, come te la passi in mezzo al campo? Mi spiace, ma dall’alto, sempre torturata, come tutte le mie compagne, dal fiato possente di un suonatore ebbro e instancabile, non riesco a seguire cosa avviene sul bel prato verde, dove compi le tue capriole e i tuoi salti, i tuoi voli e le tue piroette. Jabulani: Intanto, cara vuvuzela, non sono “vecchio”. Sono il pallone ufficiale dei mondiali del 2010, e comparso, soltanto nel 2009, come pallone della Coppa del Mondo per club 2009 negli Emirati Arabi Uniti. Il nome, Jabulani è stato rubato alla lingua zulu, e parla di “esultanza”. Non ti inganni questo riferimento alla tradizione, sono un’invenzione della globalità e racconto i mille giochi delle economie mondiali. Diavolo di un Blatter! Sono stato progettato in Inghilterra, formato da otto pannelli tridimensionali, costruito con materiali prodotti In Cina, in India e a Taiwan, avrei dovuto rendere più spettacolare il gioco e fare segnare molti più gol. Come vuoi che stia? Deluso, amareggiato, sotto processo. I portieri, a cominciare da Buffon, si lamentano di me e così gli attaccanti e i centrocampisti. Sono stato definito orrendo, inadeguato, inaffidabile, il peggiore pallone con cui si sia mai giocato. Ma tu invece, sorella in disgrazia, come stai? Vuvuzela: Non bene. Sono una tradizione inventata e poco rispettata. Un postmoderno strumento a fiato di plastica. Faccio davvero riferimento al termine onomatopeico che in lingua zulu vuol dire “fare vuvu”? O racconto del gergo dei sobborghi, che significa doccia e appartengo, davvero, al repertorio culturale zulu? Che importa, ormai, nel periodo delle mescolanze e dei meticciati? Siamo, noi vuvuzelas, l’emblema di una tradizione male interpretata e di un nuovo sempre e comunque esaltato o rinnegato. Costruite, noi vuvuzelas, in quantità enormi, facendo arricchire qualche industriale mediorientale della plastica, accolte come una grande novità e, con retorica, come segno dell’allegria africana, adesso siamo indicate quasi come protagoniste negative di un mondiale che fatica a diventare esaltante. Io e le mie mille e mille sorelle siamo chiamate fastidiose, noiose, insopportabili e, dopo un’iniziale edulcorata accoglienza, subiamo una sorta di esclusione come quella conosciuta dai neri del Sud Africa. Il disturbo, il fastidio, l’irritazione che creiamo danno il via a nuovi guadagni, ad altri interessi. Hai ragione. Diavolo di un Blatter! E tifosi e commentatori banali. Jabulani: Perché dici così? Forse qualche responsabilità l’abbiamo. Vuvuzela: La responsabilità è di chi ci inventa e poi ci usa. Di chi trasforma l’allegria in insopportabile tifo, di chi non conosce più la musica degli strumenti e i dolci suoni e vive nella baldoria. In fondo, noi vuvuzelas non suoniamo e non facciamo rumore da sole e tu, fratello Jabulani, non corri e non vieni preso a calci o a testate o sbattuto sui pali o alzato al cielo per tua scelta e per tuo piacere. Sono almeno contenta per te: avrai occasione di essere ammirato per la tua eleganza. Jabulani: E’ vero, nella finale, con un vestito in oro, da Jabulani diventerò Jo’bulani. Il nome è ispirato alla città di Johannesburg, che è conosciuta come Jo’burg, città d’oro. Sono felice di essere usato soltanto dai calciatori che giocheranno la finale. Non sono sicuro, però, che non venga indicato come responsabile di qualche errore dei calciatori. Temo di diventare responsabile della vittoria e della sconfitta. Conto sulla collaborazione tua e delle tue sorelle. Dovreste, fare un rumore bestiale, insopportabile, disturbare quanti sono seduti in poltrone, suonare per conto vostro, così le persone, forse, sapranno stabilire un diverso, rispettoso, affettivo rapporto con gli oggetti che creano. Vuvuzela: Ci penseremo. Alla fine questo potrebbe diventare il mondiale dell’inafferrabile Jabulani e delle perturbanti vuvuzelas. Il mondo non migliorerà dopo questi mondiali e gli infastiditi di tutto il globo non trarranno ragioni per vivere meglio e in pace assieme. Ciao sorella, ti lascio al tuo irruento e incazzoso suonatore. Cornuta e mazziata, oppressa e denigrata. Così va il mondo. del pallone.
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