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di VITO TETI
Radio Padania e i suoi ascoltatori hanno esultato al gol del Paraguay. Si può liquidare l’episodio, come facciamo da oltre un ventennio, come un fatto di colore, di folklore leghista, di provocazione alla Bossi, ma io inviterei a decifrare diversamente l’ulteriore segnale di “antitalianità” (non quelle degli intellettuali e delle élite che da Leopardi ad Arbasino denunciano i difetti del “carattere italiano”) che ormai, in maniera esplicita, anche da ministri del governo italiano, per non dire di parlamentari, consiglieri, sindaci leghisti, viene trasmesso, con un senso di arroganza e quasi per celebrare una sorta di fatto compiuto. Irrisioni al tricolore, denigrazione dell’inno di Mameli, proposta di adottare come inno “Va’ Pensiero”, tifo contro la Nazionale italiana sono i segni e gli esiti dello sfarinamento dell’Italia, dell’erosione dell’idea di nazione, della negazione del periodo storico che va dal Risorgimento all’antifascismo, dal dopoguerra ai lunghi anni della ricostruzione grazie i partiti nati dalla Resistenza. Se il calcio è la metafora della vita, è una rappresentazione sociale, il riflesso di sentimenti profondi e sotterranei, anche la prosecuzione, in maniera innocua, della guerra e dei conflitti che esistono nelle società, vale la pena prendere molto sul serio “parole” che non sono più semplici proclami, ma pratiche, iniziative, scelte politiche con forti riflessi nella vita e nel sentire quotidiano. Nel sondaggio odierno di Sky (certo opinabile, ma comunque indicativo), il 27 per cento della popolazione italiana preferirebbe “Va’ Pensiero” all’Inno di Mameli. Sembrerebbe una minoranza, ma è troppo rumorosa, troppo inquietante. Va al di là della percentuale dei votanti leghisti e c’è da immaginare che nelle aree del Nord amministrate dei leghisti la percentuale va ben oltre il 50 per cento. C’è da immaginare che non è una scelta fatta da fini conoscitori di musiche e di tradizioni patrie, ma è propria di un elettorato “rancoroso” che ha ormai assorbito il virus del separatismo e della divisione che è uno dei risvolti del razzismo antimeridionalista e della xenofobia della Lega. Marcello Lippi ha dovuto avvertire (sull’onda delle critiche leghiste) che non vorrà politici e critici sul carro degli eventuali vincitori e, oggi, in conferenza stampa, fa detto piccato che se ne frega della stupidità di Radio Padana. Prima dell’inizio dei Mondiali, Cannavaro e Buffon hanno polemicamente proposto di destinare l’eventuale premio alle iniziative per celebrare il centocinquantenario dell’unità nazionale. Ringhio Gattuso ha detto parole semplici e precise contro l’invadenza di una certa politica. Ma questi episodi non raccontano che la Lega detta ormai agende, argomenti, iniziative? Non rivelano che il tarlo del separatismo è penetrato anche nel calcio, nella moda, nei festival, nel senso comune? Certo si può tifare anche contro l’Italia (lo fanno anche tanti amici interisti che volevano Balotelli e i baresi che sognavano Cassano), ma è bene chiamare le cose con il loro nome. La lunga, subdola, altalenante, marcia leghista ha raggiunto i suoi obiettivi, al pari della P2. Con il compiacimento e la tolleranza di chi ha devastato la Costituzione, le leggi, le regole, il mercato, il senso dello Stato, della vergogna e del pudore e ha dato voce, amplificandoli, agli istinti più nefasti distruttivi del peggiore “spirito italico”. E le altre forze politiche? La sinistra, dilaniata, senza idee e sogni, incapace di pensare e di fare, sempre pronta a inseguire e ad adattarsi al “meno peggio”, infatuata dal radicamento della Lega, che vuole aprire con essa un dialogo e un confronto, riuscirà a porre come discriminante prioritaria la scelta dell’unità d’Italia? E quella destra, che si scopre aggredita e snaturata dal berlusconismo, che vede i processi autoritari in corso, la destra liberale o che ha fatto i conti col fascismo, o che, comunque, ha avuto sempre il senso dello Stato e dell’Unità nazionale, saprà accorgersi che in discussione non è la nazionale italiana, ma la nazione italiana?

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