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di LUIGI M. LOMBARDI SATRIANI
Il testo della legge-bavaglio sulle intercettazioni viaggia con arrogante baldanza verso l’approvazione parlamentare; la manovra finanziaria si avvia tra contrasti, ripensamenti, lotte interne alla maggioranza, fazioni contrapposte, rigoristici annunci e demagogici rientri a diventare definitiva; la legge Gelmini sull’Università procede verso l’approvazione nell’indifferenza generale, a parte la sacrosanta protesta dei ricercatori, stanchi di essere utilizzati per il mantenimento dei corsi, ma ignorati nel riconoscimento dei loro diritti. Non potrebbe essere diversamente, essendo tutto ciò il frutto delle esigenze del premier-padrone, preoccupato quasi esclusivamente di sfuggire, costi quel che costi, alle conseguenze giudiziarie dei suoi presumibili reati. A tale esigenza si accompagna quella di mantenere demagogicamente la sua immagine di statista unicamente pensoso del bene del Paese, riaffermando la centralità indiscussa della sua figura, nel momento in cui di fatto è insidiato nel suo stesso schieramento da altri uomini politici consapevoli dell’oggettivo tramonto dell’era Berlusconi. Mentre il dibattito politico e pubblico è di fatto imprigionato in queste coordinate, la società civile vive le sue storie di ordinaria ferocia, nel quadro di una progressiva erosione del tessuto socio-culturale che sorreggeva comunque la nostra vita associata. Nello sfaldamento di esso, tutto diventa possibile, la legge prevalentemente non viene percepita credibile, l’uguaglianza può apparire valore arcaico da disattendere concretamente, anche perché business is business. Emblematici, al riguardo, alcuni episodi. A Riccione un sabato sera all’uscita da una pizzeria quattro ragazzi cercano di andar via senza pagare il conto e mentre tre riescono a dileguarsi un quarto non è così abile per cui viene braccato dal personale del locale. Inizia quindi un brutale pestaggio finché il ragazzo, pur coperto di sangue, viene riconosciuto da alcuni passanti che lo individuano come un compagno di scuola del figlio di uno di loro. Gli adulti intervengono, anche se vengono invitati rozzamente a non impicciarsi. Alla loro domanda perché il gestore non abbia chiamato i carabinieri, questi non esita ad affermare: «I carabinieri non gli fanno niente, noi almeno gli abbiamo dato quello che si meritava». Gli adulti pagano il conto (60 euro), anche se il gestore così sollecito ad affermare in maniera manesca il suo diritto non si preoccupa di rilasciare la relativa ricevuta fiscale. Dopo aver tamponato le ferite del ragazzo, gli adulti convincono il ragazzo a telefonare (il gestore era stato invitato a restituirgli il telefonino che gli aveva sequestrato) perché venga a riprenderlo e a sporgere denuncia. La denuncia beninteso non sarà fatta, ma l’Ordine sarà ristabilito a Riccione. Sinora che lo stesso servizio avesse lo stesso costo chiunque fosse il soggetto pagatore sembrava cosa talmente ovvia che era inutile ribadirla. Eppure, nell’Italia del 2000 se un automobilista italiano intende contrarre una polizza con la Carige assicurazioni deve versare un premio annuale di 1.595,59 euro. Ma se a contrarre la polizza è un automobilista con cittadinanza romena della stessa età, residenza e professione dell’italiano, il premio assicurativo della Carige lievita a 1.835,37 euro. Non tutte le assicurazioni applicano tariffe differenziate secondo un temuto “rischio etnico” e significativamente l’associazione nazionale delle assicurazioni (Ania) afferma che “non ha né può avere i criteri di personalizzazione tariffaria delle Rc auto”. Anche l’avvocato Marco Paggi dell’associazione di studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) parla di “grave disuguaglianza”, perché “l’articolo 43 del Testo unico sull’immigrazione considera discriminatorio l’accesso differenziato a un servizio, in base alla semplice nazionalità del richiedente”. Nonostante queste opportune proteste, mi sembra significativo che qualcuno abbia pensato che la differenziazione etnica potesse legittimare in qualche modo tale aumento di prezzi, che si sia ritenuto possibile che non si è uguali dinanzi alla legge, perché qualcuno è sempre più uguale degli altri. George Orwell nei suoi romanzi profetici 1984 e La fattoria degli animali aveva già previsto che si era tutti uguali, ma qualcuno era più uguale. La situazione attuale ha confermato le pessimistiche previsioni dello scrittore, portandole molto più avanti, per cui ci siamo lentamente abituati a un clima di discriminazioni: di genere, di etnia, di credo religioso, di orientamento sessuale, di appartenenza territoriale e così via differenziando. Nell’esaltazione indiscussa di un io o un noi ipertrofici, rispetto a cui l’altro, i loro sono indiscutibilmente inferiori, collocati in una dimensione di ferocia, di ferinità, di subumanità, o comunque bisognosi di avere una lezione diretta. Il cittadino romeno in Italia e il ragazzo di Rimini possono godere, così, di questo clima avvelenato che si è instaurato nel Paese, mentre il nostro ceto politico è di fatto inchiodato a discutere degli stratagemmi per salvare Berlusconi dalle temute conseguenze giudiziarie dei suoi comportamenti. È giusto, forse, preoccuparci della serenità di questo Unto del Signore che vigila insonne sul bene del nostro Paese, ma forse sarebbe auspicabile anche preoccuparsi della serenità degli immigrati romeni come di tutti gli altri immigrati; del ragazzo di Rimini (che certo non dovrà più scappare da pizzerie senza pagare il conto, ma che non dovrebbe essere punito brutalmente, perchè la “giustizia” nessuno è autorizzato a farsela con le proprie mani), come di tutti gli altri giovani cui per lo più anche per questa manovra sarà inflitto un destino di disoccupazione. Come sarebbe auspicabile anche che ci preoccupassimo, e in primo luogo i nostri governanti, della serenità di tutti noi, partecipi di una vita associata sempre più segnata da violenze, discriminazioni, razzismo. Diceva Winston Churchill che l’uomo politico agisce pensando alle prossime scadenze elettorali; l’uomo di Stato pensando al futuro del Paese. Quanti, del nostro ceto politico, possono essere considerati, nonostante tutto, uomini di Stato?

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