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di ANTONELLA CIERVO
C’E’ un grimaldello invisibile che garantisce la fuga dalla cella: si chiama conoscenza.
Lo dimostra la storia di Valentino (30 anni), Claudio (61 anni) e Salvatore (40 anni), tre detenuti pronti a sostenere gli esami di maturità, dopo un percorso didattico inserito nel progetto Igea, realizzato nel carcere di Matera.
Ieri è stata la giornata più bella, un regalo inaspettato giunto grazie alla disponibilità di due giudici, Lucia Casale e Paola Stella, che hanno trasformato in realtà l’ambizione cresciuta dietro le sbarre, capace anche di superare una condanna all’ergastolo che uno dei tre deve scontare. La battaglia per la libertà dei materani durante il conflitto mondiale ha aperto le menti, unito due mondi che spesso non comunicano.
Quel mondo, ieri, si è finalmente toccato. Sono bastate poche ore tra i cittadini comuni con fidanzati amici e insegnanti, diventati compagni di un’avventura che diventa storia della vita.
C’è chi, in affidamento da meno di una settimana, ha cominciato a lavorare e oggi, nonostante l’età, sogna la laurea subito dopo il diploma. Un’opportunità che ha condiviso con i suoi amici, rinunciando ad una giornata da uomo libero e trascorrendola insieme a loro.
Oppure chi, dopo il carcere, immagina il matrimonio e i figli ai quali spiegare «Quanto è importante la cultura, il rispetto degli altri, l’apprendimento per poter crescere lontani dalla delinquenza. Dal carcere ho cercato di tirare fuori il meglio e di farne tesoro. La mia fortuna è rappresentata dalla mia famiglia: commercianti che rispettano la legalità. C’è chi, però, non ha altra scelta, ha sempre vissuto a contatto con un’altra realtà».
Nemmeno l’ergastolo, per qualcun altro, riesce a interrompere il rapporto con la realtà, in attesa di una decisione che potrebbe condurre al regime di semilibertà a partire dalle prossime settimane. Il sogno di una vita normale è lì fuori, non è del tutto impossibile.
Tre storie che hanno in comune la morte, la conseguenza di un gesto, della scelta di un attimo che ha cambiato la vita.
Commerciante, analista chimico, operaio. Friulani, napoletani, lucani. L’Italia dietro le sbarre sa guardare anche oltre e mostrarsi senza vergogna anche se il destino, a volte, può decidere il corso degli eventi, e cambiarli per sempre.
O quasi. Fino a che lo sbaglio si trasforma in risorsa, il passo indietro consente di guardare con necessaria obiettività la realtà.
«Se tornassi indietro, rifletterei prima di agire, eviterei di farmi prendere dalla rabbia. Meglio passare per vigliacchi, che trovarsi in galera – ammette uno dei tre. Guarda lontano, supera i cancelli dell’agriturismo alle porte della città. Il futuro, per lui, è a portata di mano con un lavoro cominciato da pochi giorni. Per tre anni, in carcere, ho letto il vocabolario di inglese e francese. Ho imparato 20 mila parole straniere, era l’unico modo per evitare di pensare ad altro».
ll dibattito, sempre aperto, sulla funzione del regime carcerario per una volta, ieri, ha lasciato il posto ai fatti, a quella straordinaria alchimia che trasforma persone come tutte le altre in piccoli eroi.
Come i preti di periferia, chi ha il coraggio di affrontare a viso aperto le difficoltà, chi spesso non ha voglia di parlare ma preferisce agire, l’esempio è dietro l’angolo, aspetta solo di essere scoperto e raccontato.
Salvatore, Valentino e Claudio sono uomini, le cui debolezze sono costate più di altre.
Oggi le sanno guardare, camminano accanto a loro e le trattano come compagne.
«Pensavo spesso ai figli dell’uomo che era morto per colpa mia – ammette uno dei tre – così come non dimenticherò mai il momento dell’ingresso in cella.
Non lo avrei mai immaginato, ma ho capito che può capitare a ognuno di noi».

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