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di SARA LORUSSO
PORTATORI, sì, ma di “sana felicità”. E ne sono così convinti che postano lo slogan sul profilo di Facebook rinunciando al Santo. Quello che completa il nome dell’associazione, quello che riecheggia il 29 maggio durante il rito laico della parata e che da qualche anno viene portato in spalla dai Portatori poche ore dopo il pranzo in piazza. Eccolo, allora, lo spazio delle polemiche. E la città si divide proprio sul rito della tavolata, condita da vino, danze e canti. Eccessi o divertimento, dipende dal punto di vista. In città, al momento ne esistono due.
«Tutti i giorni, nei locali, bar o ristoranti, chiunque può entrare, consumare, bere più vino del concesso e poi uscire». A quel punto, dice dall’associazione Alessandro Galella, gli effetti del singolo sulla comunità sarebbero gli stessi, «ma nessuno se la prenderebbe con il ristoratore». Insomma, il pranzo dei portatori «è un servizio che offriamo, in cui c’è la possibilità di consumare cibo e vino. E’ di ciascuno la responsabilità di controllarsi». Ma tanto per spiegare come abbiano mantenuto gli impegni per “moderare” gli effetti da eccesso di alcol, dopo le polemiche dello scorso anno (al pranzo era stata esibita una maglietta con su scritto “Io odio la Bruna” da cui, però, i Portatori hanno preso le distanze. In serata si era assistito all’aggressione di alcuni cavalieri venuti da Matera), precisa: «Abbiamo distribuito la metà del vino dello scorso anno, nonostante avessimo in piazza 400 persone in più (circa mille, ndr). Inoltre il vino era a parte (nel biglietto del pranzo) e l’accesso al distributore non era facile. Piuttosto, in centro ci sono altre strutture in cui è possibile comperare alcolici, e ognuno è stato libero di farlo».
Nel frattempo, però, in città i commenti, passata la festa, aumentano. Non è piaciuto a molti lo spettacolo dei ragazzini ubriachi in giro per il centro, a pranzo concluso, spesso troppo ubriachi per capire che certi bisogni è il caso di farli in bagno e non in piazza. Per dirla con parole che girano in rete e nei capannelli da bar, la sbronza di molti ha prodotto la «devastazione» tra piazza e vicoli. Che è luogo di tutti, anche delle famiglie e di chi, in quelle giornate – è il commento dei contro o dei perplessi – vuole passeggiare nel corso senza rischiare di vedersi inondato da un gavettone di vino o acqua. «Sia chiaro – replica Galella – noi deprechiamo ogni episodio che intacca la libertà altrui. Se non si vuole partecipare al pranzo, è giusto non venirne coinvolti in modo spiacevole». Il punto, per loro, resta un altro: «Si sta cercando di responsabilizzare chi non ha colpa di un problema che è decisamente di altra portata. Noi non obblighiamo a bere il vino, ma se i giovani pensano che solo ubriacandosi si può raggiungere il divertimento, non è colpa di un’associazione. Ciascuno è responsabile delle proprie azioni. Capita anche ogni sabato sera nei vicoli e in periferia». Discorso che vale anche in altre manifestazioni, «sempre di giovani, spesso minorenni, in cui dopo poche ore bisogna intervenire per evitare il peggio. Perché piuttosto non si racconta di chi con noi c’è stato, istituzioni comprese, semplicemente godendosi la giornata». Solo che proprio alle istituzioni c’è chi si appella per chiedere conto su un appuntamento «da cancellare». «E meno male che, presa l’auto subito dopo – dicono altri – non è accaduto il peggio» o che «la rissa scappata non si sia trasformata in qualcosa di più grave». Tra chi chiede di abolire l’evento, chi ne esalta la genuinità, chi propone di cambiare luogo e chi di ridurre almeno le presenze, l’alcol e il suo consumo (effetti annessi) tornano protagonisti. «Certo che si può fare senza alcol, ma non sarebbe giusto. Il vino, e questo non vuol dire doverne per forza abusare, fa parte della tradizione lucana. Lo sa che tra i miracoli attestati a San Gerardo, si racconta della trasformazione dell’acqua in vino?». Quello alla tavola dei portatori ha diviso in due la città.
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