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di ROCCO PEZZANO
SCRIVERE a se stessi è già un’esperienza singolare. Scriversi e non darsi retta, poi, è la quintessenza del paradosso. E’ questo che, secondo il procuratore regionale della Corte dei conti lucana Michele Oricchio, è accaduto in consiglio regionale nel 2008. Ed è questo che ha portato Oricchio a indagare sulle decisioni prese (o non prese) dagli allora componenti dell’ufficio di presidenza del consiglio Maria Antezza, Rosa Mastrosimone, Franco Mattia, Giacomo Nardiello, Agatino Mancusi, il dirigente generale dell’ufficio Ferdinando Giordano e il dirigente dell’ufficio finanziario, Michele Radice.
In sintesi, quattro consiglieri, appena eletti senatori della Repubblica – e dunque finiti in un caso di incompatibilità di cariche secondo la legge – circa un mese dopo comunicano alla Regione: lasciamo il consiglio e optiamo per il Senato.
Ma, perché le loro dimissioni divengano operative, c’è bisogno di un atto ad hoc dell’ente. Questo atto arriva quasi due mesi dopo. Perciò, i quattro percepiscono due mesi di stipendio da consigliere regionale nonostante la Costituzione, all’articolo 122, vieti esplicitamente che si possano cumulare le cariche.
Quei quattro stipendi costano alle casse pubbliche 106.140 euro e 79 centesimi. Ossia – secondo Oricchio – procurano un danno equivalente, dato che si tratta di soldi che non dovevano essere dati. Per questo, Oricchio stima che ognuno dei sette indagati debba pagare 15.163 euro di risarcimento danni alla Regione.
Per la precisione: i due mesi di stipendio lordi da presidente del consiglio regionale di Maria Antezza equivalgono a 31.621 euro e 92 centesimi; per Cosimo Latronico il costo è 26.803 euro e 83 centesimi; l’emolumento bimestrale di Carlo Chiurazzi è di 25.698 euro e 11 centesimi; infine, Egidio Digilio percepisce 22.016 euro e 93 centesimi.
Il paradosso – stando all’indagine della Corte dei conti – è che a procurare quel danno sarebbe stato l’ufficio di presidenza del consiglio regionale. Al cui vertice, come presidente, c’era proprio Maria Antezza.
Come a dire, seguendo il ragionamento dell’investigatore pubblico: la Antezza, presidente del consiglio regionale, viene eletta nell’aprile 2008 senatrice; il 9 maggio scrive a se stessa – ossia all’ufficio di presidenza del consiglio regionale – che preferisce andare al Senato; ma non blocca gli emolumenti verso se stessa e gli altri tre neosenatori se non quando avviene la loro surroga, ossia il 24 giugno. Questo quanto ricostruito da Oricchio.
«L’ufficio di presidenza del consiglio regionale – scrive il procuratore regionale – è, in generale, l’organo, eletto all’interno del consiglio nella sua prima seduta, che (…) esercita funzioni inerenti all’autonomia organizzativa, amministrativa, finanziari a e contabile del consiglio. (…) Ne consegue che i componenti dell’ufficio di presidenza, nello svolgere le funzioni amministrative relative al proprio ruolo, avevano il preciso dovere di dare immediatamente disposizioni al vertice burocratico dell’ente per interrompere la corresponsione di emolumenti ai predetti quattro neosenatori fin dal 29 aprile 2008. L’operato dei consiglieri dell’epoca si appalesa, pertanto, come gravemente colposa per la patente violazione del chiaro disposto costituzionale».
«Fanno bene a indagare – dichiara Rosa Mastrosimone al telefono – Non è mai stato fatto alcun atto deliberativo nel merito. Gli uffici hanno proceduto a corrispondere l’indennità, ma non cè alcuna scelta politica. Pensavo addirittura l’avessero restituite quelle somme, perché così avevano detto sui giornali. La cosa non mi riguarda affatto e non ho alcuna responsabilità nel merito: non ho deliberato nulla, non mi sono appropriata di nulla. La Corte dei conti si dovrà rivolgere agli interessati. Non ritengo ci sia alcuna responsabilità per l’ufficio di presidenza, che non delibera in materia di corresponsione d’indennità. Io, per dirla tutta, non sapevo nemmeno che questi prendessero la doppia indennità».
«Non abbiamo mai deliberato in tal senso – ribadisce Franco Mattia – Abbiamo dato incarico agli uffici di fare una ricognizione dei fatti così come si sono verificati».
«L’ufficio di presidenza non ha alcuna responsabilità – dice Giacomo Nardiello – che è degli eletti. Dovevano rinunciare al doppio stipendio. Loro si sono presi i soldi. Chi doveva verificare l’incompatibilità del doppio incarico era la giunta per le elezioni. E’ l’organismo competente».
Antezza risponde dal suo ufficio al Senato: «Per quanto mi riguarda, dal 9 maggio, giorno in cui ho comunicato la mia opzione, a quando è arrivata la surroga, non ho convocato né partecipato ad alcun ufficio di presidenza. Dunque, non è che potevo prendere alcun provvedimento. Sono fiduciosa che la Corte dei conti accerterà il comportamento irreprensibile degli uffici e il mio».
In quei giorni, quando la vicenda emerse all’attenzione pubblica, qualcuno disse che avrebbe donato in beneficenza le somme percepite. Antezza sa se è avvenuto?
«Non glielo saprei dire, non lo ricordo – risponde – e comunque credo che questi atti non vadano utilizzati per darsi una visibilità e fanno parte della normale vita sociale».
Nonostante numerosi e ripetuti tentativi telefonici a cellulari, uffici pubblici e abitazioni private non è stato possibile rintracciare Mancusi, Radice e Giordano per conoscere la loro versione.
Oricchio ha comunicato della propria indagine perché gli interessati inviino, entro un mese, le proprie deduzioni e ogni documento utile all’accertamento della verità. Prima che i giudici della Corte prendano eventuali decisioni in merito.
r.pezzano@luedi.it

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