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di PARIDE LEPORACE
Era di maggio. Il 12. Un anno dopo il referendum sul divorzio. 1975. Ma oggi al paese di Ottavia De Luise non ricordano se a Montemurro vinse il sì o il no. Era il 12 maggio quando Ottavia s’incamminò nel pomeriggio dalla piazza verso una strada che si aggomitola verso Armento perdendosi nel nulla. C’è ancora chi s’illude che sia viva. Fuggita come in un sogno felliniano con il circo che aveva alzato il tendone da queste parti in quella primavera.
A trentacinque anni dalla sparizione vado a Montemurro alla ricerca di Ottavia, dei suoi luoghi, di una storia attraente e ripugnante degna di Fabrizio De Andrè ed Elena Ferrante. Una storia sbagliata. Da rileggere senza la faciloneria dello spettacolo televisivo che ha comunque riacceso i riflettori su una ragazzina che non si vede più.
“Sono stata anch’io bambina-Di mio padre innamorata
Per lui sbaglio sempre e sono la sua figlia sgangherata” canta alla radio Mimì Martini scomparsa il 12 maggio di un’altra epoca mentre solco la puzza petrolifera di Viggiano e mi avvicino al borgo che diede i natali al grande Sinisgalli. Mi chiedo se Ottavia è stata innamorata del papà macellaio, lei oggi diventata figlia sgangherata in quel rapporto del carabiniere che la uccise civilmente la prima volta dipingendola come una poco di buono.
All’ingresso del paese un cavallo baio mi accoglie sulla sinistra mentre a destra in un campo si muovono tacchini e pecore. Parcheggio l’automobile in piazza Albini dove Ottavia fu vista nel pomeriggio di trentacinque anni fa.
L’aria è mite, il paese sonnolento nella mattinata. Rubo parole a qualche anziano diffidente. Il paese aveva dimenticato. Ma non rimosso. E’ difficile separare il vero dall’artefatto. Per alcuni il papà di Ottavia non aveva un buon rapporto con la famiglia e con la figlia. Per altri era un genitore normale. Non è un paese di pedofili.
Perché non fu presentata denuncia? I graffi a Peppino il viggianese li fece Ottavia o qualcuno che voleva dargli una lezione? Un vedovo solitario ed emarginato, “mezzo stonato” dice qualcuno, oggi ricoverato al Cottolengo di Torino. E mastro Mingo, lo Spianato, chi erano costoro? Torna in mente la canzone di Mimì quando recita: “Che se l’uomo in gruppo è più cattivo-Quando è solo ha più paura” mentre mi inerpico verso la strada che porta ad Armento. In piazza Ottavia quel giorno andò in biblioteca. Tra le 16 e 17. Forse. La bibliotecaia dell’epoca è morta. Un altro ricordo sbiadito.
Ottavia s’incamminò su questa strada che percorro e ripenso alle sue fantasie, alle sue angosce, ai suoi sogni. La stalla del viggianese oggi è una splendida villetta con piscina. La fontana scorre come all’epoca. Entro nella chiesetta del Carmine vuota. Tre statue di Santi e un organo antico. Manifesti di raduni internazionali della gioventù cattolica. Passa una donna anziana vestita modestamente. Osservo il Pertusillo allungarsi a valle, la neve ancora sulla vetta, il verde lussureggiante, il borgo di Spinoso su un colle opposto. Ottavia avrà avuto il tempo di vedere i suoi luoghi quel pomeriggio che sparì nel nulla. Due podisti salgono il crine, gli uccelli cantano, le campane delle pecore spezzano il silenzio che avvolge ulivi e alberi da frutto. In questo quadro bucolico e agropastorale si è consumato il dramma della ragazzina.
Con il fiatone arrivo alla masseria di Rotundo. Due poliziotti stanno sigillando con le strisce biancorosse i luoghi . Il figlio della persona sospettata sembra una statua di sale. Guarda fisso nella valle e da lontano si legge il tormento di chi ha chiuso il padre in casa e collabora doviziosamente alle indagini. Una lettera anonima ha portato magistrati, poliziotti e telecamere in questo angolo di campagna trasformando Montemurro in una sorta di Tulle, paese francese sconvolto negli anni Venti da lettere senza firme e che provocarono una serie di suicidi. Il fatto ispirò il film “Il corvo”. E anche qui c’è un corvo che ha rovinato l’esistenza di questa famiglia. Il fienile distrutto, ragazzini che non vanno a scuola con assenze tattiche perché la vergogna non si regge. Scopro una via interna che conduce a casa di Ottavia in un vicolo di paese dove i rapporti di vicinato dovevano essere molto stretti. Qui giocava la ragazzina sparita che cercava gelati e che oggi vede i suoi amici adulti.
In piazza incontro casualmente il sindaco dell’epoca della scomparsa. E’ persona affabile Nicola Pascarelli con la mazzetta dei giornali sotto al braccio. A quel tempo erano morti due primi cittadini e Nicola non ne voleva sapere di entrare in municipio. Anche per una questione di scaramanzia. Il sindaco organizzò le ricerche nella campagne appena scattato l’allarme. Nulla. “Stavo sempre in piazza in quei giorni con la speranza che qualcuno fornisse un indizio, una notizia”. I pedofili? Mai sentiti. La famiglia De Luise? Partirono in molti. Troppo tempo è passato. Giuseppe Mazzilli era un esponente della Dc dell’epoca. E’ lo zio del presidente della Provincia Piero Lacorazza e anche parente di Sinisgalli, la gloria del paese oggi oscurato dal fantasma di Ottavia. Mazzilli per cercare di sapere dove era finita la ragazzina in quel 1975 su consiglio di Tonio Boccia chiamo il TGUNO per far dare la notizia in televisione. Ma non era tempo di clamori. Si rivolse allora al senatore Decio Scardaccione che riuscì a far passare in video l’annuncio. Rimasero tutti delusi a Montemurro per quei pochi secondi che non servirono a nulla. L’Ansa sbagliò persino il cognome. Sarebbe stata utile all’epoca un “Chi l’ha visto” oggi invece trasmissione non amata per quelle immagini in bianco e nero che “dipinge il paese arretrato”.
Nel bel municipio adagiato sulla stessa piazza incontro il sindaco in carica. Mario Di Sanzo è la prima volta che parla con un giornalista. Non aveva voluto mai rilasciare interviste. Ha un maglione viola alla moda questo primo cittadino dalle idee democratiche e che rivendica con orgoglio di aver fatto il Sessantotto, ha messo a disposizione il municipio per gli interrogatori e due vigili collaborano incessamente con la polizia e i magistrati. E’ una persona responsabile il sindaco Di Sanzo. Non si oppone all’indagine e da primo cittadino difende la sua comunità. Innanzitutto i fratelli di Ottavia che vogliono sapere la verità, ma si fa carico anche del dramma dei Rotundo. E’ anche il difensore del suo borgo e delle 500 famiglie che continuano a popolarlo. “Questa storia rischia di far saltare all’aria tutto quello che io e i miei predecessori abbiamo realizzato per cercare di rendere Montemurro un paese attraente e turistico”. Aveva 27 anni Di Sanzo nel 1974. Oggi con il museo e la Fondazione Sinisgalli da un lato e le celebrazioni dell’Unità d’Italia che qui hanno in Giacinto Albini il grande eroe si cerca di dare un futuro a questa popolazione. Sinisgalli che non aveva un buon rapporto con il suo paese come capita spesso ai grandi intellettuali può risarcire i suoi cittadini da morto. Il sindaco non fa spiegazioni banali sul baccanale mediatico che rischia di oscurare poesia, Civiltà delle macchine e Risorgimento. “Il paese partecipa in silenzio ma partecipa di più”. Non ci sono targhe per Ottavia e mobilitazioni. Da quel 1975 in questo borgo di 1900 anime sono circa 600 quelli che sono andati al camposanto. Altri 400 sono emigrati altrove. Ne sono nati nel frattempo 300. Chi ha vissuto la storia di Ottavia è un gruppo di anziani che due generazioni dopo non aveva pensato di dover spiegare al mondo quello che era accaduto quando c’erano pochi telefoni nelle case, cultura paternalista, analfabetismo e tanti pettegolezzi. E’ un avamposto della democrazia partecipata quel municipio dove si pensa alla comunità. La retorica da educazione civica ha bisogno di sporcarsi le mani con il sole di Montemurro. Anche il sindaco spera che “Ottavia sia viva”. Come uno dei fratelli.
Si parlò di tutto quando la ragazzina sparì. Oggi qualcuno a denti stretti e lontano da occhi indiscreti ti dice: “E’ una pagliacciata”. Ci sono due fratelli che cercano la verità e gli altri in silenzio. Le liti ereditarie per un garage. C’è chi ti spiffera la fantasia popolare che narra del padre che in un momento di rabbia uccide la figlia e la fa a pezzi. Trentacinque anni sono un’epoca. Davanti alla casa del grande Sinisgalli un suo verso recita “Sulle salci calde come sangue” fa inorridire pensando all’innocenza violata di Ottavia. Da scuola esce un gruppo di studenti. Hanno la stessa età della ragazza che sono venuto a conoscere nel suo borgo. A differenza dei grandi fanno corona al giornalista e al fotografo. Mi raccontano che hanno sempre saputo di quella adolescente. Le nonne li ammonivano a non allontanarsi troppo da casa perché una volta una ragazza era scomparsa. Parlano di Ottavia a scuola con i loro insegnanti. Non hanno rimozioni. Mi sembrano bellissimi quando si allontanano con gli zainetti colorati e i colloqui di cellullari ed sms per poi intonare in coro “Ma l’amore no” della loro conterranea Arisa che per loro deve rappresentare una sorta di sorella maggiore. Per loro non ci sarà l’amore molesto del passato. Guardo la targa di Sinisgalli e le parole del poeta di Montemurro giuste sono: “Il fanciullo preme sulla terra la sua mano vittoriosa”. Saranno loro a rendere migliore il paese. Per questi ragazzini il fantasma di Ottavia resterà un ricordo comunque vada a finire trentacinque anni dopo. Era di maggio e Ottavia sparì nel nulla.
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