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dall’inviato FABIO AMENDOLARA
POLICORO – Forse sono morti per elettrocuzione, causata dal cattivo funzionamento di una stufetta caldobagno. Più probabilmente avvelenamento, causato dal monossido di carbonio fuoriuscito da una caldaia a gas. E’ questa la tesi della procura di Matera che qualche giorno fa, come anticipato dal Quotidiano, ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta sul giallo dei fidanzatini di Policoro. Escluso il duplice omicidio di Luca Orioli e Marirosa Andreotta, però, permangono alcuni interrogativi.
La mamma di Marirosa Andreotta, nel corso del suo secondo interrogatorio, afferma che l’impianto elettrico della sua abitazione, teatro del mistero, era perfettamente funzionante. Per questo motivo ha escluso subito la morte per elettrocuzione. Adelaide Arbia, una testimone, giunge a casa di Marirosa la notte del 23 marzo del 1988, giorno dell’omicidio, e sente la mamma di Marirosa ripetere ai presenti: «Come mai non è scattato il salvavita?». Il padre di Marirosa dichiara che l’impianto elettrico era protetto da interruttori magnetotermici, per cui in caso di cortocircuito la corrente si sarebbe di certo interrotta. L’incidente quindi non poteva accadere. Marco Vitale, cognato di Marirosa, si presenta spontaneamente ai carabinieri e dichiara di aver parlato con la madre di Marirosa. E che gli fu riferito che questa era convinta che la causa della morte non era l’elettricità. In quell’occasione gli furono mostrati il contatore dell’energia elettrica e i sistemi di sicurezza. La sorella di Marirosa dichiara che la madre le dice subito che l’ipotesi della morte per folgorazione non è veritiera. Nel 1994, durante una delle tante inchieste sul caso, la mamma di Marirosa afferma che è sua convinzione «che qualcuno ha causato la morte dei ragazzi e ha poi inscenato l’incidente con il caldobagno». Perché?
Quella sera la mamma di Marirosa era stata a Matera per seguire una rappresentazione teatrale. Quando torna a casa trova i termosifoni accesi, così come li aveva lasciati prima di uscire. Si meraviglia del fatto che la figlia non li ha spenti. Anche i carabinieri verbalizzano: i termosifoni sono accesi e la finestra del bagno è chiusa.
Allora perché accendere il caldobagno? I termosifoni erano rimasti accesi dalle cinque del pomeriggio, la finestra del bagno era piccola e la temperatura esterna, quel giorno, era mite. Ma c’è di più. La mamma di Marirosa si accorge che il caldobagno è ancora acceso. E non è la sola. Anche Pierangelo Troiano, un altro testimone, nota la presenza del caldobagno acceso, tanto che ne avverte il calore alla gamba destra. E’ il papà di Luca Orioli a staccare la spina del caldobagno, quando arriva a casa di Marirosa. Lo fa tirando il cavo di gomma. Ma in quel momento il medico legale era presente? E soprattutto: aveva già formulato l’ipotesi della folgorazione? E se è così, perché permette al papà di Luca di toccare il cavo di gomma?
E’ uno dei misteri che l’ultima inchiesta della procura di Matera non ha chiarito.
La seconda ipotesi è quella della morte per avvelenamento da monossido di carbonio. A provocarlo, secondo la procura di Matera, sarebbe stato una caldaia a gas che era nel bagno. L’Unità di analisi dei crimini violenti della polizia di stato sottolinea che c’era un alone nero in corrispondenza della finestrella di guardia della fiammella pilota della caldaia. Troppo poco. Perché è un particolare frequente in quel tipo di apparecchiature. E poi, come è possibile ritenere che quello scalda acqua fosse difettoso solo per una sera? Visto che, come sostiene l’avvocato della famiglia Andreotta nell’opposizione alla richiesta di archiviazione, ha poi continuato a funzionare per anni e anni, senza segni di deterioramento tecnico.
E poi: non è credibile che chi è entrato per primo nel bagno non si sia accorto dell’aria satura. I testimoni dichiarano di non aver sentito odori di nessun genere.
Cosa è accaduto nel bagno di casa Andreotta la sera del 23 marzo di 22 anni fa resta ancora un mistero.
f.amendolara@luedi.it

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