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di FRANCO CRISPINI
Vi sono dei fenomeni di cui non ci si preoccupa abbastanza i quali fanno sentire i loro effetti quando meno ce lo aspettiamo; per la verità non da ora abbiamo avuto a che fare con quelle che ritenevamo predicozzi e sfuriate comiche di Peppe Grillo che facevamo rientrare nel genere dell’antipolitica a buon prezzo ed a tempo perso. Anche dell’astensionismo abbiamo sempre detto che era fisiologico al sistema e che aveva delle oscillazioni ma non era cosa da prendere in seria considerazione. Soprattutto con l’ultima tornata elettorale e col ballottaggio dei sindaci ci siamo trovati però di fronte ad una crescita esponenziale dei due fenomeni e quasi ad un gioco di specchi dell’uno con l’altro, ossia l’astensionismo come scelta grillista a metà, ed il grillismo, un astensionismo che dal non voto è passato al recupero di un voto alternativo, così lo chiameremmo. Ma vediamo che cosa al fondo caratterizza i due fenomeni, più dilatato geograficamente l’astensionismo, più concentrato in determinate aree il grillismo. Tradizionalmente, l’astensionismo che ha potuto anche rientrare nella normalità di un disinteresse, diversamente causato, dall’evento politico che viene da quote non grandi di popolazione e non ha una elaborazione in quanto rifiuto consapevole dell’idea di politica e di pratica di essa, non toccando dopo tutto punte molto alte e non legandosi a condizioni del nostro Paese terremotate dalla crisi e da una altissima conflittualità politica; esso non ha avuto mai l’aspetto di una spaccatura profonda che si apriva tra politica e società. Ecco, per capire l’astensionismo è indispensabile rendersi conto di questo distacco tra politica e società che si è poi venuto sempre più accentuando: è qui nel cuore di tale incomprensione, di tale inconciliabilità che si radica la scelta astensionista come gesto di protesta e delusione, di indignazione e disamore, di diffidenza e di distacco. L’astensionista di nuovo tipo, nella scelta del “non voto”, marca e mette in atto una delegittimazione per convincimenti che vede traditi o distorti dalla parte politica alla quale idealmente sentirebbe di voler stare vicino. Quando prende consistenza e raggiunge livelli molto alti come da ultimo, l’astensionismo è una manifesta delegittimazione di quello che fa la politica, dei suoi modi di governare la cosa pubblica. E’ chiaro che esso va rapportato al momento particolare che attraversa il Paese e la sua quota di consistenza va presa più che come un ammonimento punitivo per chi in quel momento governa o per chi fa opposizione a modo suo, come il segnale invece di una denuncia del distacco della politica dalle esigenze e dai bisogni della gente. L’altro polo dove si addensano malumore e protesta ma anche la voglia di dare alla politica nuovi contenuti, nuovi modi di essere, nuovi linguaggi, è quello che attraverso Grillo, un semplice comico, è venuto ad incanalare via via in questi ultimi anni significati che hanno finito per portare fuori di una ridicolizzazione dei costumi e delle azioni della politica. I raduni di Grillo così affollati soprattutto di giovani hanno destato in tutto il Paese una attenzione crescente dell’opinione pubblica anche se gli osservatori politici non si sono interessati molto ed a fondo al perché un pubblico in grandissima parte giovanile prendeva parte con entusiasmo agli spettacoli di Grillo, ai suoi tremendi attacchi alla classe dirigente ed a quella politica: sembrava che tutto nascesse da una riduzione a farsa della politica, il che appunto induceva a definire o meglio bollare o minimizzare il tutto in senso fortemente limitativo e riduttivo, come antipolitica. Certo, vi è la buona e la cattiva politica e non si può fare di tutte le erbe un fascio, come è avvenuto spesso con le impietose arringhe di Grillo. E’ pur vero però che la mala pianta è andata crescendo e nel nostro Paese si sono andati assottigliando molto i confini tra politiche fatte per far crescere la società, elevarne il livello della pubblica eticità, del benessere, della cultura, del costume civile, e politiche rivolte invece ad interessi particolaristici di gruppi e persino di aree territoriali di tutto il Paese. La maggioranza del nostro popolo dispensa consensi ma non si chiede cosa riceve in cambio: si verifica quindi che si può comodamente lucrare una incondizionata fiducia, e ciò crea nel Paese un clima di vero dispotismo della politica. Tutto questo ma tanto altro rende insoddisfatti e critici aggressivi quanti vedono chiudersi gli spiragli per confrontarsi e discutere sul diritto di molti a fare saccheggio dei beni sociali e compromettere il futuro delle nuove generazioni, per cui nasce il dovere di opporsi non lasciando però che l’opposizione assuma forme tradizionali ed in queste perda i suoi scopi, serva a creare anche essa una casta. Le forze politiche sentono odore di miccia, cioè, fuor di metafora, prendono queste spinte dell’antipolitica, individuata come un nemico subdolo, per dei morsi, una aggressione antidemocratica, ed hanno il tremendo timore che di non essere più seguite dalla gente cui vengono perti gli occhi e mostrati i trucchi cui si fa ricorso per ottenere voti. La bestia nera dell’antipolitica disturba i sonni delle caste e inquieta le cattive coscienze: occorre scacciarla e questo non sarebbe male se lo si ottenesse attraverso una autocorrezione della politica così profonda e decisa da non lasciare dubbi sul suo volersi mettere completamente a servigio della società. Tutto ciò invece non avviene ed allora l’antipolitica subisce una metamorfosi e col grillismo, in una nuova versione, diviene un atteggiamento non catastrofista, non rinunciatario, non nichilista ma di disturbo delle rituali contrapposizioni della politica, offrendosi come una sponda per quanti si lasciano sottrarre ad uno sterile non voto ed attrarre verso un voto con significati vaghi ed indefiniti che può pesare tuttavia su possibili situazioni concrete. Dove è attecchito e può attecchire una simile inedita configurazione della antipolitica al positivo? In regioni come il Piemonte, l’Emilia Romagna, aree di fresca “contendibilità”, dove al tempo stesso è dilagata la Lega, la Lista Grillo (delle Cinque Stelle) ha assunto un suo peso, ha azzoppato la Bresso, ha ottenuto in Emilia un 7%. I grillini si sono alimentati di un humus di un tipo particolare : «Il grillismo è un fenomeno fluido largamente interno al campo della sinistra ed alla dinamica sociale della regione»: ‘Emilia è “ country e post moderna, lavorista e consumista” : così scrive Fausto Anderlini in un ottimo studio di questo fenomeno. Il grillismo è un messaggio che passa per canali inusuali, che ha un medium espressivo dissimile dai linguaggi parlati sui territori caratterizzati da scarsissimi consumi culturali, e perciò si rivolge ad una area giovanile che ha potuto digerire tutte le inquietudini necessarie a rifiutare il “già visto” della politica. Questo fenomeno può intercettare voti di “smobilitati di sinistra” o “convertiti di destra” ed altri vari tipi di “smobilitati e di naufraghi. All’astensionismo invece andrà dovunque la disaffezione sempre più alta della società civile ossia di un mondo che non sa affidarsi ad opzioni leggere , liquide, espressioni, come quelle di una certa fascia di età, di mentalità fluide alla ricerca di mezzi che assicurino forme di vita più soddisfacenti. L’uno e l’altro, astensionismo e grillismo, assieme agli scollamenti che potranno aversi nella società civile, non devono essere sottovalutati: potrebbero, per una eventuale accelerazione, spingere la politica su posizioni di maggiore arroccamento anziché di autocorrezione, e ciò aggraverebbe i problemi.
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