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di FABIO AMENDOLARA
POTENZA – Di nuovo in Questura. Perché ci sono diversi aspetti del ritrovamento dei resti di Elisa Claps che ancora non sono chiari. Il vescovo di Potenza, monsignor Agostino Superbo, vicepresidente della Cei, ribadisce la sua versione. Quella dell’invito al sacerdote brasiliano ad aprirsi con la polizia e a raccontare cosa l’aveva scosso quel 17 marzo, giorno del ritrovamento ufficiale.
Il vescovo sostiene di aver saputo del ritrovamento il 17 marzo alle ore 10. Sostiene anche di aver immediatamente chiamato la polizia. Alle 10,15. Dice all’agente che risponde al centralino che il parroco ha trovato un cadavere. Il poliziotto annota che era all’apparenza molto agitato.
Il vescovo sostiene anche di aver detto ai due sacerdoti, don Ambroise Apakta, detto Ambrogio, parroco della Trinità, e don Vagno Oliveira E Silva, brasiliano, viceparroco, che da quel momento non dovevano piu’ parlare con lui ma con la polizia.
Ad alcuni collaboratori ha invece raccontato la storia dell’equivoco. Quella del cranio dell’ucraino.
Una cosa è certa: i resti di Elisa sono stati trovati a gennaio.
Le ipotesi però sono due. La prima.
E’ gennaio quando le donne delle pulizie Maria Rita Santarsiero e Annalisa Lo Vito, sua figlia, impegnate nei servizi domestici nei locali della canonica, vedono un teschio nel sottotetto della chiesa. Le due donne ne parlano con il viceparroco, don Vagno, e decidono di non dire nulla alla polizia.
La seconda ipotesi, invece, è questa. Don Vagno ha trovato i resti di Elisa, ha toccato più di un particolare della scena del crimine, e per paura ha deciso di scaricare le responsabilità sulle donne delle pulizie.
Restano ancora in piedi tutta una serie di interrogativi.
Come mai il parroco, don Ambrogio, dichiara di non averne saputo nulla? Il suo vice aveva nascosto la notizia anche a lui? E come mai nessuno dei due ha avvertito il vescovo?
Don Vagno, in realtà, ci aveva provato. Ma, stando al racconto del sacerdote, che ha difficoltà a parlare in italiano, «quel giorno l’arcivescovo era impegnato in un convegno a Roma. Decisi così che gli avrei parlato l’indomani». La cosa, poi, gli sfuggì di mente. E se ne ricordò solo il 17, con l’ingresso degli operai nel sottotetto, chiamati per un’infiltrazione d’acqua che, si sospetta, fu creata ad arte.
Mai, in nessun momento, ha detto don Vagno alla polizia, «ho messo in relazione quella scoperta con la storia della povera Elisa».
Allora perché inscenare un ritrovamento ufficiale?
E perché il vescovo la mattina del ritrovamento era già in compagnia del suo avvocato?
E qual è il vero significato delle parole che diffonde ufficialmente il giorno in cui il Quotidiano pubblica la notizia della soffiata in confessione?
Perché chiedere «perdono al Signore per quanto non è stato fatto per la famiglia di Elisa e per la ricerca della verità».
E che fine ha fatto parte del materiale edile di risulta che occultava i resti di Elisa?
Sono quesiti che forse rimarranno ancora avvolti da mistero.
f.amendolara@luedi.it
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