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di MATTEO COSENZA
La vittoria del centrodestra in Calabria si è completata ieri con la conquista di importanti comuni. Sconfitte, quelle del centrosinistra, pesantissime appena appena edulcorate dalla riconferma di un suo sindaco, Gianni Speranza, a Lamezia. Vibo Valentia passa di mano, al centrodestra vanno San Giovanni in Fiore e Acri, a Gioia Tauro vince una civica che sembrerebbe di centrosinistra ma che si dichiara apartitica. Visto il vento che soffia, il centrosinistra deve ritenersi graziato dal fatto che tra il 28 marzo e il 12 aprile si sia votato solo in pochi comuni, ma il campanello d’allarme è suonato e, in assenza di misure straordinarie e di una svolta profonda, farà sentire molto presto i suoi rintocchi funesti. Brucia molto la sconfitta di San Giovanni in Fiore, roccaforte rossa da sempre, cuore culturale e politico di quella Sila dove andava a ripararsi il partigiano Pietro Ingrao. Brucia perché tra deputati, presidenti di Provincia e filosofi sembrava un territorio offline per gli uomini del centrodestra. Ma l’Italia cambia, dappertutto sono cadute tante Stalingrado, sarebbe stato un miracolo se fosse restata in piedi quella calabrese. La mobilità dell’elettorato italiano ormai è un dato da cui non si può prescindere e sbaglia chi pensa di vantare rendite di posizione immodificabili. Prima nel mondo e un po’ alla volta in Italia sono cambiate la storia e la geografia, figurarsi se ci si può ancora fare forti di categorie sempre più lontane dalla realtà. Che poi il cambiamento produca il meglio o il peggio è altra questione. In assenza di politiche strategicamente alternative finisce che la differenza la fanno gli uomini. Sia nelle elezioni regionali sia in quelle comunali il grave errore di supponenza dei vertici del Pd è stato quello di considerare le candidature più per quello che contavano all’interno del partito che per l’effettivo peso elettorale. La nomenclatura che si impegna a difendere la propria sopravvivenza lo fa anche a costo di perdere. Così è avvenuto alla Regione, così è accaduto in decine di comuni. La conferma viene paradossalmente dall’unico successo del centrosinistra, da Lamezia, dove stravince il sindaco uscente, Gianni Speranza, che si è mosso tenendosi fuori dai giochi tradizionali, ha dovuto faticare per essere ricandidato e alla fine ce l’ha fatta. La sua affermazione richiama, in proporzioni e modalità diverse, la performance di Vendola che in Puglia ha vinto nonostante il centrosinistra non volesse ricandidarlo. Speranza salva la faccia del centrosinistra ma con la sua affermazione al tempo stesso ne sottolinea le acute lacerazioni e le vaste crepe. La lezione per il Pd è sonora e si inserisce nel dibattito di questi giorni a livello nazionale. Lo ha aperto Romano Prodi proponendo una gestione del Pd affidata ai segretari regionali, Bersani non ha detto sì ma ha lasciato aperta la porta alla discussione sottolineando la necessità di un’accentuazione del carattere federalista del partito. Purtroppo la questione è complicata e non è lontano dalla verità Sandro Principe quando dice che il Pd è un amalgama senza identità. Ma quale deve essere l’identità di questo partito? Quella dei sepolcri imbiancati di Reggio e di Cosenza o quella di uomini legati al territorio e che hanno dimostrato, come Speranza, di saperne rappresentare le ansie e le aspettative? Avrà Bersani la forza di intervenire in Calabria dopo la sua ritirata di un mese e mezzo fa quando non riuscì a convincere i suoi che con Loiero si andava alla sconfitta sicura? Con i grattacapi che ha non è alle viste un suo impegno nella periferia di un impero che vive di memorie sempre più incerte. Il futuro? Per ora è solo una Speranza.

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