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di Rocco Pezzano

POTENZA – La ditta che eseguì i lavori di consolidamento al tetto della Ss. Trinità entrò nel sottotetto. Lo dimostrano le carte dell’epoca, con tanto di foto che documentano l’ingresso nel luogo – ma a distanza di qualche metro – dove, dietro un muro, è stato ritrovato il corpo di Elisa Claps.
Detto questo, è necessario sottolineare che con molta difficoltà chi lavorò a quell’opera durata circa undici mesi (dal marzo 1996 al febbraio 1997) avrebbe potuto scorgere il corpo o il tumulo che secondo alcune ultime ricostruzioni lo celava alla vista.
Se il sottotetto della chiesa della Ss. Trinità fosse stato come quello di tutte le altre chiese – a “capriate” – forse del corpo di Elisa Claps ci si sarebbe accorti prima. Forse. Fra la premessa e la conseguenza c’è una serie di incognite da considerare: il corpo è sempre stato lì? Qualcuno lo ha visto e non ha detto nulla?
Una volta data una risposta a queste domande, c’è un’ulteriore questione il sottotetto delle chiese di solito è realizzato con le capriate: una “gabbia” di travi di legno, come una rete, che sostiene una serie di falde dello stesso materiale inclinate con lo stesso angolo degli spioventi del tetto. Insomma, una struttura architettonica che, in certi edifici religiosi, è in bella vista sul soffitto.
Quando ci sono le capriate – ammesso e non concesso che ci sia luce a sufficienza – da un estremità del locale sottotetto si può vedere l’estremità opposta.
Nel caso della Trinità, all’interno del sottotetto ci sono pareti divisorie edificate chissà quando, probabilmente nel 1930 quando ci furono lavori di restauro (la chiesa venne quasi completamente rimessa in piedi dopo il terremoto del 1857).
Dunque, anche in presenza di una buona fonte di luce – e sembra, dalle ricostruzioni dei giorni scorsi, che all’interno del locale il buio sia pressocché assoluto – la visuale è limitata dai tramezzi.
I lavori del 1996-1997 interessarono soprattutto il pavimento del tetto che si era avvallato. L’ingresso nel sottotetto fu necessario per un altro, più piccolo lavoro di restauro: un cassettone sul soffitto della chiesa – o forse più di uno – risultava poco stabile. Si tratta di un elemento rettangolare, di gesso, arricchito al centro da stucchi decorativi. Per ancorarlo era necessario recarsi nel sottotetto, in corrispondenza del cassettone, effettuare dei fori, passare una zanca, ossia una barra di metallo, e legarla. Come cucire un enorme bottone, passando un ago di pari misura e poi fissare il filo. Per farlo, bisognava per forza di cose entrare nel sottotetto. Caso ha voluto, però, che il cassettone fosse entrando sulla sinistra. Mentre il corpo della ragazza era entrando sulla destra.
Quindi – a meno che i tecnici della ditta non abbiano deciso all’epoca di effettuare una ricognizione dell’intero locale, magari scattando anche foto – non fu possibile accorgersi della presenza dei resti di Elisa.
Non è stato possibile, nei giorni scorsi e anche ieri, contattare i titolari della ditta e chiedere particolari più precisi di come andò.
Chi è pratico di cantieri edili, spiega che non di rado le ditte prendono immagini del posto, nel corso dei lavori, per poter dimostrare cosa è stato fatto e cosa no e qual era lo stato originario dei luoghi.
Nelle poche foto che è possibile osservare, c’è il pavimento del sottotetto, grezzo nel suo colore cemento, ci sono le zanche e il cassettone ancorato sul soffitto della navata.
In una foto – che non dice niente di più, ma mette i brividi a riflettere su quello che sarebbe stato scoperto lì sopra, a pochi metri – si vede dal basso anche un cassettone sfondato. Il bianco del gesso. E, oltre, il buio.

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