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di FABIO AMENDOLARA
POTENZA – Dicono che se il peccato consiste in un crimine il sacerdote può suggerire o imporre al fedele, come condizione indispensabile per l’assoluzione, che si consegni alle autorità. Non può fare altro. E soprattutto non può decidere in modo autonomo di informare procure o forze di polizia. Neanche in modo indiretto. In questo caso, forse, il peccato consisteva nel non aver dato prima un’indicazione importantissima: che il corpo di Elisa Claps era nella chiesa della Trinità sin dal 12 settembre del 1993, giorno della scomparsa. In gergo poliziesco la chiamano «soffiata».
Tra gli investigatori c’è chi sospetta che, qualche giorno prima che venisse ritrovato il cadavere, ne sia arrivata una a un sacerdote e che gli operai siano stati chiamati quando già si sapeva che il corpo era lì. Lo lascia pensare il fatto che quelle infiltrazioni d’acqua, come confermano alcuni testimoni, c’erano da tempo. Congetture? Forse.
Ma cosa hanno spiegato don Ambroise Atakpa detto Ambrogio, assistente spirituale della Caritas diocesana e parroco pro tempore della chiesa della Trinità, e il suo sostituto don Vagno, ai detective della Squadra mobile di Potenza l’altro giorno?
I due si sono trattenuti per molto tempo in Questura. Senza sosta, neanche per il pranzo.
Hanno sostenuto in modo fermo che si è trattato di un caso. Che tutto è avvenuto per caso. E che non c’è stata nessuna soffiata. Plausibile. Anche dopo 17 anni e due sopralluoghi della polizia andati a vuoto. E’ quello che ripete da giorni anche l’arcivescovo, monsignor Agostino Superbo. Si è trattenuto con loro in Questura.
E, prima di incontrare il questore Romolo Panico, ha consigliato ai due sacerdoti di non parlare dell’accaduto con nessuno. Lo stesso avvertimento che è stato fatto dalla polizia dopo l’interrogatorio.
Un avvenimento sospetto, però, c’è. Sembra – ma al momento sono solo indiscrezioni – che qualcuno, qualche tempo fa, abbia chiesto le chiavi della canonica al viceparroco don Vagno. Lui avrebbe risposto di no. Non senza l’autorizzazione del parroco. Gli investigatori su questo particolare avrebbero insistito molto. Domande su domande. Tanto che don Vagno, sacerdote molto giovane di origini brasiliane, che – dicono – ha anche difficoltà ad esprimersi bene in italiano, sarebbe rimasto alquanto scosso. Così come era scosso il giorno del ritrovamento. E’ stato lui ad accompagnare gli operai nel sottotetto, su disposizione del parroco, don Ambrogio, che a sua volta aveva chiesto e ottenuto l’autorizzazione dal vescovo.
Il racconto di don Vagno in Questura, spiegano fonti investigative, è cominciato proprio così. Con gli operai che trovavano Elisa. Ma è stato un interrogatorio pieno di contraddizioni. Quello delle chiavi della canonica è solo un particolare. Anche perché nella chiesa della Trinità dopo una certa ora sarebbe potuto entrare chiunque. Non ci sono telecamere, né antifurti. Allora perché chiedere le chiavi al viceparroco? E’ quello che stanno cercando di capire gli investigatori.

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