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di ENZO ARCURI
Per la nona volta il 28 e 29 marzo i calabresi torneranno alle urne per eleggere il nuovo presidente della Regione ed il nuovo consiglio regionale. C’è questa volta una novità da quando una nuova legge, approvata nel 1995 dal parlamento per sottrarre le regioni ad una permanente instabilità con crisi ricorrenti degli esecutivi, ha introdotto l’elezione diretta del presidente, inaugurando l’era dei governatori. Non c’è il listino del presidente, candidati che non avevano bisogno di chiedere un voto di preferenza per conquistare un seggio in consiglio regionale nel caso di vittoria della propria coalizione. Questi seggi, come ha deliberato il consiglio uscente prima di andarsene a casa, saranno assegnati alla coalizione vincente, distribuendoli in modo proporzionale fra le liste che compongono la stessa coalizione. Questa precisazione, venuta dopo l’esposto inviato alla magistratura da Franco Corbelli del movimento Diritti Civili, non ha tuttavia finora chiarito con quali criteri questa assegnazione dovrà essere fatta. Non appare dunque del tutto infondato il rischio, paventato dallo stesso Corbelli, di un probabile annullamento delle elezioni, se il chiarimento non ci sarà e se da qualche parte questa eccezione sarà sollevata. Insomma è ben singolare questa campagna elettorale così esposta agli azzeccagarbugli ed alle carte bollate per responsabilità di una dirigenza politica rivelatasi piuttosto pasticciona. Non è neanche un bel vedere per festeggiare 40 anni di regionalismo con la Lega di Bossi che al Nord tiene a battesimo il patto delle quattro regioni più forti del paese, Lombardia, Piemonte, Veneto e Liguria, la terra dello storico triangolo industriale e del Nord-Est, l’embrione della Padania a lungo vagheggiata dai seguaci del senatur. E con il Sud che continua a perdere colpi, drammaticamente stremato dalla crisi, pesantemente penalizzato da un governo che gli ha sottratto risorse destinandole altrove, ed ora paradossalmente “intenzionato” a premiare con i propri voti gli alleati della Lega. Almeno questo si profila (e, da un certo punto di vista, si teme ) in Calabria, la regione che accumula le criticità più acute. Che ha molto da rimproverare al governo di Roma ed ai partiti che lo sostengono in Parlamento. Che ha anche sufficienti elementi di recriminazione nei confronti del ceto politico cui in questi 40 anni ha affidato il governo della regione. E che, in questa nona volta, è chiamata a dare, nelle urne, un segnale forte inaugurando una fase nuova, liberandosi dall’ipoteca opprimente e nefasta della criminalità organizzata (Santo Versace ha ragione quando chiede ai calabresi di non votare per i candidati chiacchierati ), esprimendo finalmente un voto consapevole, libero dai fastidiosi e intollerabili condizionamenti delle clientele che non portano da nessuna parte e che hanno mortificato attese ed ambizioni di intere generazioni. In questi giorni di campagna elettorale, una strana campagna elettorale, combattuta a suon di slogan e di manifesti, non si coglie fra la gente grande entusiasmo. Anzi si avverte in giro un pericoloso clima di stanchezza che fa temere una valanga di astensioni. Anche questo non è un bel vedere, la rassegnazione del tanto non cambia nulla non aiuta certamente ad uscire dalla palude in cui la regione rischia di restare prigioniera. La reazione viceversa deve essere vigorosa, determinata, inflessibile per evitare che a farcela siano anche questa volta i soliti furbi, le lobby comunque camuffate, magari le oligarchie criminali della ’ndrangheta. E’ tempo che il regionalismo, che in questi 40 anni abbiamo conosciuto con le sue poche luci e con le sue molte ombre e sul quale la riflessione deve essere rigorosa ed approfondita, riceva una forte spinta innovativa. Soprattutto perché il federalismo è alle porte e per chi vive nell’estremo Sud si annunciano tempi difficili per una sfida impari che richiede grande impegno e scelte coraggiose. Il patto a quattro sottoscritto a Genova con la benedizione di Bossi è un antipasto che non sarà facile digerire in Calabria ed altrove nel Sud. E ci sono poi le incoraggianti prospettive che i nuovi equilibri dell’economia mondiale indiscutibilmente spostati ad oriente aprono ad una regione strategica in Italia ed in Europa come la Calabria. La Regione – consiglio e giunta – che uscirà dal voto di fine marzo dovrà fare i conti anche con queste sfide. Che insieme a quelle legate alle molte criticità della complessa questione calabrese fanno di questo appuntamento elettorale uno snodo decisivo per il futuro della regione. Sempre che naturalmente un futuro a questa regione si voglia darlo.

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