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di LUIGI M. LOMBARDI SATRIANI
In questi giorni Marzi, piccolo centro della provincia di Cosenza, è in festa. Non si tratta della festa del santo patrono (in questo caso Santa Barbara), che nei nostri paesi continua a esercitare una notevolissima carica di attrazione e di aggregazione, ma di una occasione laica di coinvolgimento e di tripudio collettivo. Mauro Fiore, originario di Marzi, direttore della fotografia del film Avatar, dall’indubbio successo internazionale, ha avuto l’ambito Oscar. Nell’occasione della solenne cerimonia di consegna della celebre statuina ha ricordato la sua origine territoriale, i suoi genitori, i suoi compaesani. Il “Viva l’Italia, un saluto” proclamato da Fiore sul palco del teatro Kodak di Los Angeles ha colpito, inorgoglito e commosso, il suo paese, la nostra regione. Il premiato ha voluto ricordare i suoi genitori: “Lorenzo e Romilda, giunti in America con quattro valigie e un sogno”; era l’inizio degli anni ’70 e Mauro aveva sette anni. I suoi genitori si stabilirono a Chicago, dove Mauro frequentò il Columbia College divenendo successivamente membro dell’American Society of Cinematographers. La mamma ha raccontato: “La fotografia è stata la sua passione sin da ragazzino. Poi ha incontrato Janusz Kaminskj, direttore della fotografia di Schindler’s List che lo ha aiutato e introdotto nell’ambiente facendolo lavorare con lui. Quando noi siamo tornati in Italia ha voluto rimanere in America per seguire la sua passione ed è stato giusto. Là il merito paga e la qualità viene premiata”. La signora Romilda ha sinceramente ammesso: “A dire la verità io sarei rimasta in America ma mio marito non aveva in mente nient’altro che tornare in Italia. E così, quando mia figlia, dopo la laurea, ha deciso di tornare, l’ho seguita”. Mauro, nelle interviste rilasciate subito dopo il premio, ha dichiarato di sentirsi molto legato al suo paese, “non solo perché è il posto in cui vivono i miei genitori, mia sorella, i miei parenti, quindi rappresenta le mie radici, ma per l’atmosfera che si respira, per le persone che s’incontrano e le storie che ti raccontano, per l’affetto che mi circonda ogni volta che arrivo. Sono accolto sempre con calore. In realtà sono legato a tutta l’Italia, già quando arrivo all’aeroporto si respira un’aria diversa”. Lo stesso presidente della nostra regione, Agazio Loiero, ha reso visita ai genitori a Marzi, partecipando così all’omaggio collettivo al premio Oscar. Egli ha dichiarato che “Mauro è l’orgoglio non solo della Calabria ma dell’Italia intera”. I festeggiamenti del piccolo paese della valle del Savuto sono quanto mai motivati. Marzi, centro di meno di un migliaio di abitanti, ha un’economia prevalentemente basata sul terziario anche se produce un vino che in questi ultimi anni si va sempre più affermando sui mercati. Esso ha subito nel tempo la diaspora dell’emigrazione, che ha costretto centinaia di migliaia di calabresi a “scegliere” di trasferirsi in altri Paesi alla ricerca di una vita più clemente. Emilio Franzina ha sottolineato: “Non esiste forse, nella storia d’Italia degli ultimi due secoli, un fenomeno così persistente, pervasivo e, sotto certi aspetti, paradossale come quello dei movimenti migratori. La loro recente inversione, che ha modificato la composizione e le rotte dei flussi all’interno di un mondo compiutamente globalizzato, ed è segnato dalle nuove asimmetrie dello sviluppo capitalistico, concorrendo a trasformare il nostro paese – come è ormai diventato usuale dire in virtù di una percezione semplicistica e diffusa – da antica ‘terra di emigranti’ in fresca ‘terra di immigrati’, rende ancora più pressanti molte delle domande che è lecito formulare sul nostro specifico e lunghissimo passato emigratorio”. Anche a Marzi come negli altri paesi del mezzogiorno, è dato registrare un forte flusso migratorio nei primi anni del Novecento e il suo costituirsi come tratto costante, almeno sino agli anni Cinquanta, per quanto riguarda le migrazioni transoceaniche, mentre per quella verso il Nord d’Italia e d’Europa esso si protrarrà nei decenni successivi. Tutto ciò rende Marzi sostanzialmente non dissimile da tutti gli altri paesi calabresi; presumibilmente, le esigenze sottostanti i clamorosi festeggiamenti per Fiore di questi giorni sono analoghe a quelle di tutti i paesi che rendono affollata la nostra regione, pur nell’assenza di grandi città. La storia della Calabria, infatti, è principalmente la storia di centinaia e centinaia di paesi. Negli anni scorsi nei rispettivi centri di origine ci si è esaltati per il compaesano di successo: così per il calciatore Gennaro Gattuso, di Corigliano, protagonista in Nazionale di alcuni gol mondiali; per Dalida (nome di Iolanda Gigliotti), cantante dalla voce struggente e dalla vita tormentata, appartenente a famiglia originaria di Serrastretta; per Mia Martini, di Bagnara, cantante notissima e angosciata fatta oggetto di feroce discriminazione per il pregiudizio di una sua attribuita capacità di portare jella, e glorificata post mortem; per il cantante Mino Reitano, autore della celeberrima canzone “Una ragione di più”, solito a coinvolgere nelle sue esibizioni canore i propri numerosissimi familiari di Fiumara; l’attrice e conduttrice televisiva Vittoria Belvedere, mia compaesana di San Costantino di Briatico, che, “valletta” di Pippo Baudo in un’edizione del Festival di Sanremo, canalizzò l’attenzione nazionale e i riflettori della televisione su questo piccolo paese, nel quale si precipitò una troupe della Rai per cogliere immagini e testimonianze in riprese televisive che si tradussero in alcuni minuti di proiezione nazionale, ma che per il solo fatto di essere in procinto di realizzarsi avevano suscitato nel paese ondate di eccitazione e di entusiasmo. I festeggiamenti di Marzi per il proprio compaesano baciato dalla notorietà non sono, dunque, i primi nella cronaca della nostra regione; non saranno, certamente, gli ultimi. Può essere utile, allora, domandarci a quale bisogno culturale profondo rispondano e quali funzioni sono chiamati a svolgere, se ne sia consapevoli o meno. Il desiderio di affermare che la Calabria non è fatta soltanto da delinquenti come troppo spesso e con irresponsabile leggerezza sottolineano la maggior parte dei quotidiani di diffusione nazionale e le trasmissioni televisive di maggiore successo; l’emarginazione nella quale è di fatto costretta la vita associata nei nostri paesi; la percezione, più o meno oscuramente avvertita, di essere partecipi di una marginalità storica alla quale è sostanzialmente inutile ribellarsi; il senso di frustrazione percepito nell’avvertirsi impotenti in una situazione in cui comunque “Tutto è accaduto” per riprendere un famoso titolo di Corrado Alvaro; il sentimento di un’ingiustizia storica e inappellabile subita pur senza “colpa”, concorrono a creare una miscela che ha assoluto bisogno di esplodere collettivamente, trovando comunque modi e forme per un risarcimento, un riscatto. L’“eroe” che ha avuto successo lo ha avuto, certo per sé, ma mediatamente lo ha avuto per i suoi familiari, per i suoi compaesani: è tutta la collettività che comunque è stata premiata; che, almeno per un giorno, può sentirsi non spettatrice ma protagonista. Sarebbe inutile ricordare, a questo punto, che il paese è armonica comunità soltanto in una proiezione retorica, che da un lato, significa non essere soli, secondo le celebri parole di Cesare Pavese; dall’altro, non è riducibile esaustivamente a una “comunità del noi”, armonicamente composta e atta a fruire gioiosamente dei successi raggiunti dai suoi singoli esponenti. Sottolineatura inutile, questa, perché non si tratta, in questi casi, di stabilire cosa sia vero, ma di vedere cosa si vuole ritenere “verosimile” perché si ha bisogno di ritenerlo tale. E allora l’“uno per tutti” e il “tutti per uno” sono espressioni che producono effetti culturali rilevanti, anche a prescindere dalla loro puntuale infondatezza. Questo, e molto altro ancora, ci dicono i festeggiamenti di Marzi, piccolo centro cosentino, con meno di un migliaio di abitanti, con il suo tripudio collettivo per l’Oscar per la fotografia a Mauro Fiore.
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