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di EMILIO SIRIANNI
Non poca confusione causano nella mia mente gli slogan elettorali degli innumerevoli candidati che ci osservano sorridenti o pensosi da ogni angolo ed incombono su noi affranti elettori con le stesse proporzioni e lo stesso minaccioso effetto della faccia d’un bambino su di un formicaio. Slogan che si fatica parecchio a distinguere da quelli di case automobilistiche ed elettrodomestici, con i quali si intervallano lungo le nostre martoriate strade.
Quel che si promette è “efficienza”, “competenza”, “affidabilità”, “esperienza”, “serietà” e, naturalmente, gli immancabili “fatti” in luogo delle vituperate parole (comprensibilmente invise – queste – a non pochi di loro), la capacità di “fare”, addirittura l’appartenere al “fare” e tutte le altre declinazioni del tracimante mantra di Arcore. I più bonari ci ricordano di essere come “noi” o “fra noi” (finendo per renderci più circospetti e guardinghi) o “per noi”, espressioni cui fanno da contraltare quelle di candidati evidentemente più rispettosi delle forme (e delle distanze: dovesse venirci in mente d’essere stati, anche “noi”, accolti fra “loro”!) e che si limitano a sostituire il “voi” al “noi”. E quindi: “uno di voi”, “con voi”, “fra voi” e via enumerando. Vorrei restare a questo genere (peraltro dominante) di pubblicità elettorale, nonostante le sapide riflessioni indotte anche da altre categorie di slogan, come quelli in cui (da veri “impuniti”, si direbbe a Roma) candidati al consiglio regionale ci ricordano d’essere, nel contempo, sindaci, assessori provinciali e via cumulando o quelli in cui, evocando rassicuranti atmosfere familiari, ci sono offerti i servigi (politici s’intende) di mogli, donne, nipoti e figli, i cui faccioni, giunti a sostituire quelli d’un tempo del capofamiglia, ci consentono persino di passare il tempo d’un semaforo o d’un ingorgo, nel rassicurante giochino della ricerca di somiglianze. Quel che mi colpisce in quelle formule, così simili alle pubblicità di merci, è la resa quasi totale a un idea della politica del tutto priva di idee (una volta si sarebbe detto ideali, ma non vorrei far sobbalzare qualcuno). Una politica ridotta a servizio, ma non inteso il termine nel senso alto cui s’allude quando si mette l’accento sullo spirito col quale dovrebbe esercitarsi il mandato ricevuto, bensì in quello, più misero, d’un contratto di prestazione d’opera. L’equivalente dell’intervento d’un idraulico o della garanzia d’una concessionaria. Rispettabilissime opere, per carità, ma nelle quali il solo fine perseguito da chi rende il servizio è il proprio personale profitto. Concetto che, applicato alla politica, induce, lo si riconoscerà, ad inquietanti conclusioni. E’ proprio questo il fondo cui paiono averci condotto l’ultima ideologia sopravvissuta, quella del Mercato, e due decenni di dominio mediatico metastasizzante. E non c’è solo la convinta adesione a questa piccola idea di politica di quanti sono schierati dallo stesso lato dell’Unico, ma anche lo spensierato accodarsi di quelli che pure dovrebbero portarsi dentro ancora echi di un pensiero ben più elevato. Quel che mi colpisce – anche a guardare la cosa dal punto di vista del verbo mercantile – è che nessuno di questi ultimi si sia ancora avveduto delle praterie rimaste scoperte, sia dal punto di vista dei possibili messaggi che da quello dei potenziali destinatari. “Dignità” non è forse una parola più bella e seducente di “efficienza”? E “solidarietà” di “affidabilità”? “Partecipazione” non è meglio di “competenza”? Non è meglio parlare agli elettori di “lavoro” che di “coraggio”? Un impegno assunto in nome della “libertà” di ciascuno e della “eguaglianza” di tutti non è più credibile e, finanche, seducente della sospetta affermazione d’essere “uno di noi”? Sono davvero convinti i nostri politici che queste parole, e le idee che esprimono, siano ormai fuori mercato? Che non riuscirebbero a muovere neppure una coscienza (un acquirente, direbbero probabilmente i loro “spin doctors”)? Sono parole e concetti di cui è fittamente intessuta la nostra Carta Costituzionale, quel patto così tenacemente e da così tanti anni picconato dai governanti, parlamentari, sindaci e rappresentanti di comunità locali, non solo della destra politica e che ancora resiste a dispetto di tutti loro. Certo è difficile durare per ogni movimento che raccolga questi ideali dalla polvere in cui sono stati lasciati in un sistema politico ingessato da anni e dove le possibilità di farsi udire, per chi non sia intruppato in rappresentanze parlamentari, sono pari a zero. E tuttavia, per ogni uno che sparisce ne nasce un altro e se l’onda viola che oggi ha spazzato decine di piazze finirà per rifluire anch’essa, non è detto che non ne arrivino altre ed anche a breve. Di segnali che quegli antichi semi abbiano dato germogli è trapuntato il cielo delle nostre città. Chissà che qualche prossimo candidato, magari al Parlamento, non finisca per avvedersene e decida di dismettere i panni del piazzista per vestire quelli “rappresentante della nazione”.
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