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di FRANCO CRISPINI
Proprio in questo momento in cui sta venendo tutto fuori il grande bluff della “Italia del fare” e i “perseguitati politici” vengono trovati in fallo, dovrebbe nella sinistra e nel Pd esservi meno ansia di rimanere infilzati dal voto di marzo. E invece, a gongolare è proprio il centrodestra berlusconiano che avrebbe tutti i motivi di temere il peggio: nella Calabria che si sbriciola come nell’Aquila delle tonnellate di macerie non rimosse, dappertutto ci si aspetta un successo, un premio per chi si adopererebbe soltanto per il bene del Paese. Nel Pd e nell’area della sinistra si è diffuso un micidiale autolesionismo, la psicosi di un tracollo annunciato, la quale piuttosto che far tacere le guerre tra le tribù locali le spinge ad accaparrarsi gli ultimi bottini. Da che nasce la tracotante convinzione del Pdl che nella maggior parte delle regioni, in Campania, in Calabria, nel Lazio (persino in Puglia), la vittoria sarà sua? In quelle regioni quali meriti ha acquisito per potere dirsi sicuro di meritare un voto maggioritario? E venendo al Pd da dove nascono i suoi timori di non avere scampo, di doverci lasciare anche questa volta le penne? Il Pdl può dormire sugli allori? E il Pd anche a non volere essere rinunciatario, deve rassegnarsi a subire ancora un’altra batosta tra le tante che sta subendo da che è nato? Quanto al Pdl, sicuro che la gente di questa riapertura di una tangentopoli sta cogliendo una minima parte, disorientata dai media, compresa la televisione pubblica, in mano all’unico padrone, si aspetta che a guidarla a un voto favorevole sarà ancora una volta la somma delle suggestioni e delle illusioni che il Cavaliere ha saputo seminare e fare introiettare nel corso degli anni e che quindi tutte le “storielle del papi” del 2009 e la tempesta degli affarismi di questi primi mesi del nuovo anno, avranno poca incidenza. Quindi le truppe berlusconiane nelle varie regioni, il leghismo nordista, contano su di una vittoria a poco prezzo perché ritengono che sia sempre verde il prato del Cavaliere, intramontabile la sua stella, ferma la fiducia della gente: quel che si dovrà fare nei vari governi regionali è tutto nella testa del capo che così come ha presieduto alle scelte dei candidati a governatore e di tanti nomi (di una estetista dentaria, di un fisioterapista eccetera) delle liste, nello stesso tempo detterà i contenuti e i tempi dei programmi per le singole regioni dove subalterni, ubbidienti, ascari si muovono ai suoi comandi. Si ripeteranno i prodigi della trionfali affermazioni del Cavaliere? L’onda nera di destra (Fini non è riuscito finora a darle un colore diverso) continuerà ad avanzare travolgendo le resistenze che nelle aree locali si sarà riusciti, anche faticosamente e soprattutto con tanta incertezza, a opporre? E’ certo che se le cose andranno diversamente e cioè se il Pdl dovrà abbassare le ali e quanto meno arrestare la sua marcia in più di una regione, ciò non sarà certo per opera di un Pd che avrà saputo superare la sua psicosi e recuperare in extremis la fiducia in se stesso: potrebbero intervenire fattori imponderabili quali ad esempio una interruzione di fiducia al Cavaliere nella sua stessa parte di Paese che sempre gli dà la maggioranza, una specie di colpo a vuoto nell’accensione di una lampadina. Il Pd potrebbe avvantaggiarsi di una nuova situazione senza averne molti meriti, oppure il successo del Cavaliere sarebbe minato da un forte astensionismo: in ogni caso vi sarebbe qualcosa di inaspettato, un Pd che non uscirebbe scassato come teme, un Pdl che comincia a provare l’amaro sapore dell’arretramento. Entrambi i presentimenti e le aspettative della sconfitta e del trionfo, rimarrebbero ridimensionati. Saprebbe il Pd trarre qualche profitto, autoriformandosi, da un inizio di sgretolamento del Pdl e del suo principale collante, cioè il berlusconismo? Il voto regionale questa volta può servire non solo per una scelta di buoni amministratori capaci di interpretare le esigenze giuste dei territori, ma anche per far sentire, punendo tracotanze e trionfalismi o rincuorando quanti recitano troppo tardi il mea culpa, le forti preoccupazioni della gente per un Paese che sta andando in rovina. Come ignorare uno spettacolo di capillare corruzione, di un decadimento della classe dirigente, che suggerisce a Sergio Romano l’immagine di una Italia quale “malato terminale”: e difatti riciclaggio di danaro sporco, una protezione civile che serve ad arricchire costruttori cinici e rapaci, magistrati che secondo il presidente del Consiglio sarebbero dei “talebani”, un Senato con presenza di senatori in mano alla mafia, un quadro allarmante che sollecita ogni occasione come questa del voto regionale per aprire un nuovo corso politico. Tra chi gongola e chi dispera si tratta di stabilire chi ha le maggiori responsabilità per come si sono moltiplicati e acuiti i mali del Paese, per come si è impoverito il terreno del confronto politico, per l’uso continuo di una “contro-verità” per coprire ogni genere di malefatta. Forse poi per chi ha il presentimento di non farcela, come è il caso del Pd , si tratta solo della inquietudine per tante cose che “potevano essere e non sono state”.

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