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di ALFONSO LORELLI*
Le dichiarazioni del giornalista Gianni Lannes sulla identità del relitto fotografato a fine ottobre al largo di Cetraro dal Rov della nave Oceano-mare che ha operato per conto del ministero dell’Ambiente, ha scatenato una polemica strumentale e fuorviante che va stigmatizzata. Lannes sostiene che quel relitto non è della motonave Catania perché i dati in suo possesso la danno affondata nel golfo di Napoli nel 1943. Il ministro ribadisce invece che al largo di Cetraro è stato fotografato il relitto di un’altra Catania costruita nel 1906 e affondata nel 1917 da un sommergibile tedesco. Questa polemica nominalistica sembra fatta apposta per nascondere il vero problema che è quello di sapere se in quel tratto di mare, insieme e confusa con altri relitti, si trova una “nave dei veleni”, chiamata Cunshj, che il pentito Fonti ha dichiarato di avere colà affondato. La verità poteva, e può ancora, venire alla luce soltanto fotografando i relitti presenti in quel “cimitero delle navi”, portando in superficie e analizzando campioni prelevabili da tutti i relitti, comparando i rilievi fotografici fatti dalla Regione e dal Ministero, facendo assistere alle rilevazioni in mare e alle analisi i rappresentanti scientifici delle associazioni ambientalistiche e degli enti territoriali interessati. Questo ha chiesto il popolo calabrese mobilitatosi in massa nella manifestazione del 24 ottobre ad Amantea, ma il Governo, preoccupato della possibilità di scoprire scorie radioattive in fondo al nostro mare che avrebbe creato opposizione di massa sulla sciagurata scelta nucleare, ha invece costruito a tavolino e fornito un’altra sua “sedicente” verità, rimuovendo il problema della nostra salute e nella speranza di tacitare, ancora una volta, la rabbia dei calabresi. Dopo aver tergiversato per un mese, aver promesso una nave che doveva partire da Cipro ma che era inesistente, aver mandato una barca di nome Astrea che andò via adducendo la scusante di dover imbarcare una nuova strumentazione a Fiumicino, il Ministero ha incaricato una società di sua fiducia, la Geolab, che ha fotografato un relitto, lontano 3,5 miglia da quello fotografato dal Rov della Regione, al quale è stato dato il nome “Cagliari” prima e “Catania” dopo, nome dedotto soltanto da una lettera C scrostata sulla fiancata del relitto. L’avere scrostato la sola lettera iniziale e non l’intero nome della nave fa pensare che potrebbe trattarsi di qualsiasi relitto che ha come iniziale una C. Per esempio, anche la Cunskj ha come iniziale una C e quella che sembrerebbe una T, peraltro non visibile chiaramente nella foto data alle stampe, potrebbe essere anche una J. Inoltre la struttura dei due relitti fotografati rispettivamente per conto della Regione e del Ministero, secondo molti tecnici non è identica; il carico è diverso; le coordinate non coincidono; lo stato di conservazione non è compatibile con gli anni intercorsi dall’affondamento; sono diverse le tecniche costruttive e i materiali di costruzione; non sono stati recuperati quelli che sembrano fusti e che sono stati presentati dalla versione ufficiale come prese d’aria cadute sulla fiancata. Aver mostrato come prova un oblò integro che sarebbe appartenuto a una nave affondata 97 anni appare come una presa in giro non soltanto a chi conosce la forza corrosiva delle acque marine. Alla luce di ciò, e di tanto altro ancora, noi riteniamo non dimostrata la verità e costruita a tavolino la versione che ci ha propinato il Governo al quale continuiamo a chiedere di voler effettuare ricerche serie ed esaustive, controllabili dalle istituzioni e dalle associazioni ambientaliste attraverso propri specialisti. Lo chiediamo anche alla U.e. che inizialmente si era dimostrata disponibile a intervenire nei limiti dei propri poteri. Ovviamente anche in Calabria c’è chi preferisce mettere la testa sotto la sabbia e accettare le verità ufficiali fornite strumentalmente dal Governo, rinunciando a esercitare la propria ragione dialettica. C’è chi lo fa in mala fede; chi per un protagonismo a buon mercato; chi per un malcelato orgoglio localistico, credendo di aiutare lo sviluppo del proprio paese, senza rendersi conto che coprire un sepolcro nauseabondo con vernice bianca peggiora le cose perché quel corpo in putrefazione potrebbe far scoppiare la peste. La soluzione è solo quella di scoprire quel sepolcro nascosto e bonificare la terra che lo contiene. Pensando a tutto ciò la disputa nominalistica innescata dalle dichiarazioni di Lannes, che nel passato ha condotto inchieste ben documentate, sembra fuorviante e strumentale, fatta per creare confusione e frapporre ostacoli alla difficile lotta che stiamo conducento per raggiungere la verità sull’inquinamento del nostro mare e delle nostre terre. Questa disputa non dà alcun contributo positivo alla complessità del problema delle navi dei veleni, né a quello dei rifiuti tossici provenienti da altre regioni e sotterrati “sotto i nostri culi” dalla triade Stato- Società di smaltimento-’ndrangheta. Perciò è necessario stigmatizzare e denunciare questo ulteriore tentativo di depistaggio che si nasconde dietro la disputa sul nome di un relitto, per concentrare l’attenzione dei cittadini sui problemi gravissimi che non possono trovare soluzione nelle carte d’archivio o nei siti Internet, magari falsificato ad hoc, ma soltanto con ricerche sottomarine e analisi complete, serie e controllate fatte anche sulla terraferma, a partire dalla valle dell’Oliva, di Crotone, Sibari ecc. Credo fermamente perciò che, passata la buriana elettorale durante la quale comunque i candidati-presidenti dovranno assumere impegni concreti sul problema, sia necessario riprendere la mobilitazione popolare pensando a forme di lotta più dure, da portare nel cuore del potere (Roma) che continua a negarci il diritto alla tutela della nostra vita.
*Comitato civico Natale De Grazia-Amantea
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