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Non ha voluto parlare in aula Emanuele Caruso, uno dei tre giovani, tutti di Filadelfia (Vv), imputati per l’omicidio aggravato di Cristian Galati, il 24enne picchiato brutalmente, legato ad un albero e poi bruciato vivo a Curinga (Catanzaro), nel gennaio scorso, chiamato a testimoniare ieri nel processo dibattimentale a carico di Santino Accetta, di 32 anni.
Caruso, che in fase di indagini confessò di essere l’autore dell’atroce delitto (e per il quale si celebra un giudizio abbreviato a Lamezia Terme), si è avvalso della facoltà di non rispondere alle domande della Corte d’assise di Catanzaro, del pubblico ministero Alessandra Ruberto, degli avvocati di parte civile (Leopoldo Marchese difende i genitori di Cristian, i fratelli e una sorella, mentre l’altra sorella è difesa da Luca Scaramuzzino), e dei difensori di Accetta, gli avvocati Davide Dell’Aquila e Francesco Galati.
Lui, comunque, ha sempre sostenuto di aver portato a termine da solo il disegno di morte di Galati, cosa che contrasta con le dichiarazioni rilasciate dal terzo coimputato Pietro Mazzotta (anche per lui è in corso l’abbreviato), il quale alla scorsa udienza in Corte d’assise ha confermato le accuse per se stesso, per Caruso e per Accetta, raccontando che il giorno in cui Cristian fu ucciso, lui e Caruso erano andati a prenderlo in macchina, e più tardi avevano caricato anche Accetta prima di recarsi nel luogo del martirio dell’amico dei primi due.
Secondo l’accusa, del resto, Galati sarebbe stato ucciso per i suoi contrasti proprio con Accetta, che lo avrebbe tra l’altro accusato di avergli bruciato l’auto. Il racconto di quest’ultimo particolare è stato fatto oggi in aula anche dai genitori della vittima, che hanno detto di aver saputo dal figlio della minaccia che Accetta gli avrebbe fatto dopo che la sua macchina venne bruciata. Sempre questa mattina sono stati inoltre sentiti alcuni carabinieri che parteciparono alle indagini, ma l’audizione dei testi del pubblico ministero terminerà il prossimo 2 marzo, quando saranno sentite anche alcune persone chiamate dai difensori di parte civile. È fissata per il 16 febbraio, invece, la sentenza a carico di Emanuele Caruso e Pietro Mazzotta (difesi da Arturo Bova), per i quali per il pm ha chiesto rispettivamente 30 anni e 24 anni di reclusione.
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