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di GUIDO LEONE
Se da una parte vi è un ritardo sulla informatizzazione del sistema scolastico, la vera alfabetizzazione del nuovo secolo i bambini e i ragazzi se la stanno facendo da soli. A fronte di ritardi e povertà del sistema pubblico dell’istruzione, si coglie uno sconcertante aspetto della condizione giovanile: l’autopedagogia selvaggia. C’è nella crescita elettronicizzata un fai-da-te di massa per la formazione degli italiani, a partire dall’infanzia. La scuola assiste impotente ed estranea, spesso disinformata. I bambini digitano sui telefonini. Fitti sono gli sms scambiati sotto i banchi. Se mancano 3 mila miliardi di vecchie lire per mettere l’Italia in pari con il piano di preparazione informatica varato dal Consiglio d’Europa, altrettanti, forse più, sono stati messi dai genitori sul mercato per comprare ai figli cellulari, computer, game-boy, playstation. A scuola c’è una elettronica in gran parte clandestina e sottobanco. Alla didattica mancano almeno 200.000 computer. Arrivano invece i game-boy privati. A casa i computer ci sono e i genitori li mettono in larghezza nelle mani dei figli. Sono circa due milioni e 500 mila i bambini e i ragazzi fra i 3 e i 14 anni che li hanno in uso. Un bimbo su 10 dai 3 ai 5 anni già clicca. Il decimo rapporto sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza, presentato di recente da Telefono Azzurro e Eurispes evidenzia che l’inizio delle apparecchiature tecnologiche cresce all’aumentare dell’età: fra i 10-11enni è quindi più diffuso che fra i bambini di 7-9 anni l’utilizzo del cellulare (il 48,3% dei primi non lo usa mai, contro il 61,1% dei secondi, del lettore Mp3 (non lo usa 54,9% dei più piccoli contro il 44,4% dei più grandi) e, seppur con lieve scarto, del computer (25,9% e 24,7%) e di Internet (43,9% e 41,8%). Tra gli adolescenti, 9 su 10 utilizzano Internet nelle diverse applicazioni; l’85,8% guarda filmati su You Tube, ‘83,2% cerca materiale per lo studio, il 79,9% chatta e scarica musica, film, videogiochi. Mentre la maggioranza comunica per posta elettronica. Il 71,1%, poi, possiede un profilo su facebook. Lasciamo agli studiosi dell’età evolutiva la controversa valutazione sui pregi e i difetti di una iniziazione così precoce. Stiamo allo scambio diseguale tra le generazioni, allo scambio delle opportunità e delle esperienze. I genitori forniscono denaro, disponibile, ma non danno assistenza, non possono farlo per analfabetismo informatica e per mancanza di tempo. Ai piccoli autoeducatori non arrivano così consigli e neppure regole minime per l’uso degli strumenti. Il 50/60% dei genitori è elettronicamente inadeguato al compito. La frontiera corre all’interno della famiglia e favorisce l’esercizio soltanto ludico dello strumento. Il citato Rapporto afferma che l’87,3% dei bambini intervistati sa giocare con il Pc, mentre la metà del campione che navigano in rete ha iniziato a usare Internet fra i 6 e gli 8 anni (50,7%), mentre il 47,7% tra i 9 e gli 11 anni. C’è infine la passione per i videogiochi (il 53,3%), che con lo studio non ha alcuno spazio di coabitazione. Con essi i piccolissimi costruiscono una parte notevole della loro personalità e delle loro attitudini. È il regno delle animazioni anglo-giapponesi. Sia detto senza moralismo: disastrose sono la disinformazione adulta e l’impotenza scolastica, non l’elettronicizzazione giovanile in se stessa. È una esperienza enorme, ignorarla pedagogicamente è pericoloso. Si moltiplicano i rapporti di tempo (reale) e di spazio (virtuale), cambiano i gradi della concentrazione. Per non dire dei piccoli deliri d’invidia, imitazione, frustrazione, esaltazione, imitazione. Sono tutte cose prevedibili e modificabili, tutte in qualche misura disciplinabili. Bisogna dare competenza e razionalità alla piccola rivoluzione che ha anche molti lati positivi. Il ritardo del sistema adulto rischia invece di rendersi responsabile di una vera e propria mutazione antropologica, sconosciuta ai grandi. Tra la disinformazione adulta e l’impotenza scolastica cresce, dunque, una infanzia digitale senza alcun controllo. E lo scenario futuro, tratteggiato dagli esperti? Metterà da parte il professore che non saprà o vorrà dire sì all’informatica. La scuola del secondo decennio sarà caratterizzata da una diffusione capillare di computer. Ogni studente andrà a scuola con il suo pc portatile, e ciò cambierà il modi di fare scuola, magari niente cartella, niente libri, niente quaderni. Basterà una manciata di Dvd, piccoli da stare in tasca, e la scuola si trasformerà in un unico server incardinato su Internet. Questo richiederà un cambiamento di mentalità da parte degli insegnanti. Nuovi modi di insegnamento legati ad Internet si stanno già sperimentando in alcuni Licei, dove si sta studiando come cambiare la didattica per tenerla al passo con la tecnologia. In particolare il latino e il greco, sfruttando le risorse Internet, dove si possono trovare una massa infinita di opere classiche. E la penna che fine farà? Tra i tanti altri oggetti della strumentazione scolare, sarà la nuova archeologia del futuro. Clifford Stoll, uno dei pionieri americani di Internet, nel suo provocatorio libro “Confessioni di un eretico high-tech” (Garzanti, 2001), fa una analisi impietosa delle nuove ignoranze veicolate dai computer: «Divento furioso-dice -quando vedo le nostre scuole lanciarsi volontariamente nell’ondata di piena della tecnologia. Come pecore, folle di educatori si mettono in coda per poter riempire di cavi le proprie scuole. Nel frattempo gli insegnanti di lettere devono sopportare studenti semianalfabeti i quali, ansiosi di immergersi in qualche videogioco, non sono in grado di scrivere due righe sensate». Si tratta sicuramente di una critica acuta e radicale, ma due o tre cose dette da Stoll sicuramente vanno condivise: 1) Che la scuola deve preservare la collettività di persone umane che operano insieme, imparano insieme, giocano insieme, parlano tra loro. 2) L’altra è che non si conosce ancora un deposito di conoscenze che sia migliore di un libro. 3) Infine l’idea che vada preservato e arricchito il contatto con la realtà, non quella simulata, ma quella vera, quella fisica, che richiede spirito di esplorazione e di scoperta, di movimento, di manipolazione. E’ banale dirlo, ma non tutto può essere acquisito in modo virtuale. I processi formativi si sviluppano anche e soprattutto attraverso la relazione interpersonale e l’esperienza diretta. Questo passaggio non può essere trascurato,anche se è forte la tentazione di vivere l’esperienza attraverso gli occhi della tecnologia.

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