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di VITO BUBBICO
In seguito ad una partita di calcetto, nel lontano 11-02-1996, Marco Saponara, studente di Ingegneria Gestionale presso il Politecnico di Milano, riportò una lacerazione del tendine d’Achille. Avrebbe potuto fermarsi in uno dei tanti centri specializzati del capoluogo lombardo, ma sentì l’esigenza di tornare a casa e discutere il da farsi in famiglia.
Oltretutto il caso non pareva così urgente e grave da far mobilitare i familiari a Milano.
Giunto così a Salandra decise di sottoporsi a radiografia nell’ospedale di Matera. Il dott. Vizziello, ortopedico, analizzando i risultati dell’esame, ravvisò una parziale rottura del tendine e consigliò un’operazione d’urgenza.
Si trattava di un banale intervento della durata di 15-30 minuti.
Il 21-02-1996 Marco entrò in ospedale per il ricovero. Aveva una grande paura dell’anestesia visto che soffriva di acuti attacchi d’asma fin da quando era bambino. Infatti, dieci anni prima, nel 1986, si era sottoposto a prove allergiche nello stesso ospedale. La diagnosi evidenziò la presenza di una grave forma di asma allergica.
Tutta l’equipe medica, dunque, fu subito avvisata del problema. Fu chiesto anche se non fosse il caso di effettuare un’anestesia lombare. Ma all’epoca non era ancora in uso presso l’ospedale, o quantomeno meno veniva utilizzata raramente. Quindi si optò per la totale, proprio quella temuta da Marco.
Dopo tutti gli accertamenti, il 24-02-1996 venne sottoposto ad intervento chirurgico.
Uscì dalla sala operatoria per entrare in sala di rianimazione, in seguito all’avvento di un grave episodio di broncospasmo serrato.
Verso le 14,45 venne confermato il suo decesso.
Le cause della sua morte prematura erano dovute proprio all’anestesia sbagliata.
Il 21-12-2004, l’anestesista, il Dott. Oronzo Martino, veniva giudicato colpevole dalla Suprema Corte di Cassazione, del reato di omicidio colposo.
L’ennesimo caso di malasanità. In quella occasione il giovanissimo Marco Saponara, pur avendo chiaramente percepito il pericolo e avendo avvisato insistentemente i medici, perse tragicamente la vita. Il processo penale, dunque, si è chiuso nel 2004, a quasi 9 anni dal decesso, con 3 sentenze di condanna nei rispettivi gradi di giudizio. La vita del processo è rientrata, dunque, nella media. Infatti, non sono lontane nel tempo le stime date sia dall’ Associazione nazionale magistrati che dal Ministero di Grazia e Giustizia, che attestano la durata del processo penale intorno ai 7 anni e _. Nel 2005 è iniziato formalmente il procedimento civile.
Dal punto di vista strettamente pratico, in questa fase si sarebbe dovuto decidere esclusivamente il quantum da liquidare, dato che la sentenza penale passata in giudicato ha riconosciuto la colpa del Dott. Martino.
Il processo, in realtà, è cominciato solo lo scorso 17 novembre con la richiesta d’ammissione dei testi e degli interrogatori formali. L’udienza successiva è stata fissata il 15/06/2010.
Cosa è successo in questi 5 anni? Il processo è stato bloccato da una serie di rinvii.
In 5 anni non si è discusso di nulla. In 5 anni c’è solo buio. E’ strabiliante come un complesso e difficile processo penale si sia risolto in tempi accettabili e, invece, un processo civile, dove si dovrebbe solamente discutere del quanto liquidare alla parte lesa, sia, dopo 5 anni, ancora alle battute iniziali. Che giustificazione può essere addotta ad una tale e totale perdita di tempo? Ci si può fidare dei vari addetti ai lavori? In che mani è la Giustizia?
Perché gli uomini preposti alla sua tutela faticano ad applicarla?
Gli avvocati della difesa, e non solo, stanno trattando il valore della vita e della morte di una persona un tanto al chilo, come si fa al mercato rionale. E’ accettabile tutto questo? Le stesse parti consigliano alla famiglia di accettare ciò che propongono le assicurazioni. Ma il vero punto è una Giustizia giusta non il baratto. E presumibilmente andrebbe data in tempi accettabili, senza la possibilità di protrarre i tempi all’infinito. Il processo dura ormai da quasi 14 anni.
Quando avrà fine questo lunghissimo calvario? Quanta sofferenza dovranno sopportare ancora i familiari, ad ogni rinvio, ad ogni udienza?
Quali sono le certezze messe a disposizione dalla Legge verso una madre di 63 anni che combatte da un quindicennio perché la stessa Legge sia uguale anche per lei? Perché un governo che sta affrontando nella camere solamente temi riguardanti la riforma della giustizia e le leggi ad personam, non pensa ai processi veri piuttosto che a quelli brevi?

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