2 minuti per la lettura
Lui, nei pizzini del boss, è «Ma». Matteo Di Palma, 65 anni, detenuto con l’accusa di essere uno dei tre finanziatori occulti di Renato Martorano, indicato dagli investigatori come il massimo esponente della ‘ndrangheta in Basilicata, nel corso di un interrogatorio ha confermato l’esistenza del giro di usura. «Ha reso dichiarazioni che coinvolgono Martorano», dice il sostituto procuratore antimafia Francesco Basentini in aula. «E’ un testimone indagato in procedimento connesso», dice. In gergo lo chiamano «teste assistito».
E, secondo l’accusa, aggraverebbe la posizione del boss. Qualche tempo fa, però, aveva negato. «Non ho mai fatto prestiti di denaro a Carmine Guarino (l’imprenditore strozzato che accusa il boss ndr). Sia perché non ho la disponibilità economica per poter prestare denaro, sia perché è una cosa che odio». Confermava già, però, di conoscere Martorano. «A volte lo incontravo nelle vicinanze del mio circolo». Non solo: conosceva anche Dorino Stefanutti: «Mi portava il caffè al circolo che gestisco a Bucaletto». E Pio Albano: «Per rapporti commerciali di vecchia data».
Di Matteo Di Palma aveva parlato già anche Rosario Casillo: «Guarino aveva il terrore di Di Palma. Mi diceva che doveva restituire i soldi in quel posto a quell’ora, altrimenti succedeva l’ira di Dio». Di Palma era uno che, secondo Guarino, faceva paura anche a Martorano. Un insospettabile che da Eboli, in provincia di Salerno, si era trasferito a Potenza e aveva preso casa a Bucaletto. Assieme al ricco ingegnere con la passione per la massoneria, Nicola Giordano, dava, secondo l’accusa, i soldi al boss. Sarebbero quelli del «terzo livello»: i colletti bianchi.
L’accusa: «Usura». L’aggravante: «Aver agito con metodo mafioso». La storia che gli investigatori hanno ricostruito in tre puntate parte dal 2000. Da quando l’ingegnere lavorava ancora all’Ente irrigazione e si sentiva quasi tutti i giorni con il boss. E che con lui condivideva almeno tre progetti: «la costituzione di un consorzio di trasporti a Melfi, la realizzazione di opere pubbliche e il condizionamento di appalti». Mancava l’usura. E’ saltata fuori con l’arresto del boss, un anno fa. La seconda puntata: Renato Martorano aveva ridotto Guarino sul lastrico, tanto da portargli via anche una villa e un’auto di lusso. E ora la terza puntata, con il colpo di scena: il boss era solo un intermediario. I soldi li mettevano altri. E gli altri, secondo i carabinieri del Ros, sono, oltre a camorristi e calabresi non identificati, l’ingegnere, e il gestore della sala giochi di Bucaletto. Le verità di Palma sono già raccolte in un verbale. Il 10 febbraio dovrà confermarle in aula, con Martorano in videoconferenza.
f.amendolara@luedi.it
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA