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di ANTONELLA CIERVO
C’È UN PAESE in cui la memoria storica passa attraverso il risultato del lavoro alacre, quotidiano di chi crede nei principi che furono alla base della Costituzione.
Quel Paese è lo stesso che affolla gli incontri pubblici che Gherardo Colombo, ex magistrato tiene in tutta Italia. Il suo libro “Sulle regole” (Feltrinelli, 2008) concentra molte delle domande che queste occasioni provocano e affronta alcuni temi legati alla storia d’Italia.
La conclusione del suo libro parla di un percorso che riguarda ognuno di noi. Il suo addio alla magistratura, fa parte di questo percorso, ma non crede che le regole di cui parla sarebbe stato meglio applicarle o farle applicare dall’interno e non dall’esterno?
«E’ giusto che le regole vengano fatte applicare da chi controlla i comportamenti. Prima ancora è necessario che i cittadini le rispettino volontariamente».
La sua scelta di abbandonare la magistratura, è definitiva, convinta?
«Sì, sono convintissimo di quello che ho fatto».
Lei parla di società orizzontale e verticale. In più di un’occasione, però, si ha la sensazione che le due si intersechino. Si sta sviluppando una società trasversale che unisca, nel bene e nel male, alcune caratteristiche delle due precedenti?
«Ogni volta che in una società esistono diversi gradini, anche se al loro interno esistono opportunità pari, quella società è verticale».
L’apertura del suo libro, “Sulle regole” parla di un paese immaginario. Leggendo quelle pagine si ha la sensazione che quelle immagini siano più reali di quello che si pensi, che quella sia la realtà quotidiana. Forse alcune di quelle situazioni hanno fatto parte delle sue inchieste.
«Forse. Ci sono alcune cose di quel paese immaginario che si verificano anche per noi».
Com’è oggi secondo lei il rapporto tra informazione e senso della legalità?
«Credo che sarebbe bellissimo se i cittadini, potessero informarsi facilmente. Nello stesso tempo i cittadini hanno però l’onere di cercare le informazioni; i canali possibili sono tanti e, se si conosce l’inglese, quasi infiniti”.
Con il passare del tempo, crede che come dice il proverbio valga ancora il principio secondo cui “Fatta la legge, trovato l’ìnganno?”.
«Credo che più frequentemente ci sia una violazione aperta. Credo che, più che trovare l’inganno nell’interpretare la legge, si trova l’inganno giustificandosi quando la si viola».
Il gruppo di lavoro che si occupò dell’inchiesta “Mani pulite” era unito dalla voglia di far rispettare le regole o c’erano anche altri elementi che avevate in comune?
«I magistrati devono rispettare le regole , ovviamente e credo che lo facciano sempre. Quindi il rispetto delle regole è il punto di partenza per l’esercizio di quella professione. Per il resto, poi, lavorare insieme credo sia più ò meno lo stesso in qualunque settore».
Ci sono punti in comune fra lo spirito che l’ha mossa per scrivere “Sulle regole” e “Sei stato tu” (Salani editore) in cui la Costituzione viene spiegata attraverso le domande degli scolari di una scuola di Impruneta?
«La convinzione che, affinché funzioni la giustizia, è necessario che si rifletta sul significato delle regole e si arrivi a condividerle».
Cos’è la giustizia, secondo lei?
“La mia idea è che giustizia corrisponda a opportunità pari”.
Ha mai avuto la tentazione di lasciare tutto, di abbandonare un’inchiesta?
«Nel libro “Il vizio della memoria”, l’ho scritto dettagliatamente. Mi è successo circa 25 anni fa, nel momento in cui ho appreso l’esito di indagini che avevo iniziato a Milano e che erano state poi trasferite».
Perché ci ha ripensato?
“Credevo che continuando a fare quel lavoro si sarebbe riusciti, nonostante tutte le difficoltà, ad attuare effettivamente la Costituzione”.
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