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di LUIGI M. LOMBARDI SATRIANI
Nei giorni scorsi la Calabria ha campeggiato ancora una volta nelle pagine dei quotidiani, anche di diffusione nazionale, e nei servizi dei maggiori telegiornali: l’ordigno fatto esplodere dinanzi agli uffici della Procura generale di Reggio Calabria e la rivolta degli immigrati di Rosarno sono le due notizie che hanno canalizzato l’attenzione generale sulla nostra regione, entrambe frutto drammatico della condizione di onnipervasiva illegalità che affligge tragicamente la nostra vita associata. Ritornerò quanto prima sul fenomeno degli immigrati, sulle loro condizioni disumane di vita, sulle reazioni che suscitano nei residenti, avviluppati tutti in una guerra tra poveri che genera violenza, sconforto e pietà. In questa rubrica intendo oggi sviluppare alcune considerazioni sul grave attentato di Reggio. Esso ha lacerato la tranquillità, peraltro del tutto illusoria, di chi amava pensare che la ’ndrangheta fosse ormai un fenomeno in forte calo, in una fase, cioè, di marginalizzazione e che la lotta a essa fosse ormai vittoriosa. Illusione questa, eppure tristemente ricorrente, anche perché costituisce alibi per la nostra inerzia, per le nostre omissioni. Tra le prime reazioni alla bomba, il coro quasi unanime di condanna dell’azione e di doverosa solidarietà ai magistrati. Quasi tutte le Autorità, dal capo dello Stato – che si riafferma come il punto più saldo per il nostro ancoraggio – ai rappresentanti del Governo e delle altre articolazioni istituzionali, dai rappresentanti di associazioni a esponenti della società civile, hanno dichiarato la loro vicinanza ai giudici oggetto di questo gravissimo atto di intimidazione. Troppo spesso negli ultimi mesi abbiamo assistito ad attacchi, più o meno virulenti ai giudici, alla loro imparzialità, alla loro serenità di giudizio e ciò ha di fatto contribuito a una possibile delegittimazione della loro figura e delle loro funzioni, essenziali alla nostra vita democratica. Utilissima pertanto, in questo contesto, la solidarietà di cui si è detto. La bomba di Reggio ha sottolineato qualcosa che pur doveva già essere chiara ed evidente: la ’ndrangheta diventa particolarmente violenta quando percepisce prossime condanne severe e quando viene minacciata nei suoi immensi giri di affari. Opportunamente si è deciso di rafforzare gli organici di polizia e magistratura nella città dello Stretto e di costituirla sede per l’Agenzia nazionale per la gestione dei patrimoni illeciti confiscati ai clan nel Paese. Occorre proseguire decisamente in tale direzione, potenziando tutte le strutture impegnate nel contrasto alla malavita. Occorre anche continuare quelle iniziative volte alla conoscenza dell’universo della ’ndrangheta, alla cultura da essa elaborata; a tale essenziale fine conoscitivo è volto quel Museo della ’ndrangheta istituito a Reggio con l’essenziale apporto dell’Assessorato provinciale alle Politiche Sociali e Giovanili, retto da Attilio Tucci, ma che ancora è di fatto inoperante in attesa che le ricerche progettate nel suo ambito abbiano finalmente inizio. Colpisce però che nell’atto dinamitardo non sia stato visto un altro possibile (e forse probabile) significato. Tra meno di tre mesi si svolgerà anche in Calabria la tornata elettorale per il rinnovo degli organismi regionali. Nei prossimi anni la Regione sarà determinante per la gestione dei Fondi europei (ultima tranche prevista) e per gli investimenti nei diversi settori della vita economico-produttiva. Ricordare con il linguaggio della violenza a essa propria che la ’ndrangheta dispone di un pacchetto rilevantissimo di voti, tale da rendere più facile la vittoria a qualsiasi candidato, parte politica, coalizione, può costituire una mossa utile perché secondo la strategia del mercato elettorale sia a tutti nota una possibile, implicita (?) Offerta. Che vi sia un’offerta non comporta necessariamente che vi sia il correlativo acquisto o che qualsiasi vittoria elettorale sottintenda un patto scellerato con la ’ndrangheta. Conclusioni siffatte sarebbero del tutto fuorvianti; oltretutto, in Calabria, al di là delle risultanze ufficiali si sa sempre moltissimo dei contatti, collusioni, contiguità, vicinanze e organicità dei singoli uomini politici da un lato, e malavita organizzata dall’altro. Proprio in questa conoscenza diffusa si apre lo spazio per la nostra operatività, la nostra possibilità di scelta. Per tentare di sciogliere l’abbraccio mortale tra politica e ’ndrangheta, tra politici collusi e la nostra vita associata, abbiamo la possibilità di non votare personaggi di cui sappiamo, con un sufficiente grado di approssimazione, la connessione più o meno stretta con la criminalità organizzata. Tali legami sono più netti per alcuni uomini politici, per alcuni partiti: mai come in questo caso bisogna guardare alla biografia di ciascuno, senza partecipare ad alcuna caccia alle streghe, senza qualunquistici attacchi alla casta dei politici, ritenuti colpevoli comunque per il solo fatto di essere tali, ma anche senza dare niente per scontato quasi che i “nostri”, la “nostra” parte politica (quella verso la quale siamo più orientati) siano ontologicamente e aprioristicamente immuni da qualsivoglia forma di contaminazione. Niente e nessuno è al di sopra per definizione; tutto deve essere verificato, anche se l’inquinamento di cui qui si parla ha diversi livelli di probabilità. La conoscenza della realtà che ci circonda e, quindi, l’orientamento delle scelte che volta a volta andiamo a concretare devono essere il frutto di un lungo lavoro di analisi, il risultato faticoso della consapevolezza via via acquisita. E, del resto, anche così si afferma il bene irrinunciabile della democrazia. La bomba di Reggio Calabria ci ricorda che la ’ndrangheta è, di fatto, uno dei soggetti che mira comunque a essere riconosciuta, a farci ascoltare la sua voce, mettendo a disposizione di quei politici che lo desiderano la propria potenza di fuoco.
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