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di ROMANO PITARO
Trentasette feriti, svariati arresti e il fuoco di una guerriglia urbana vera a e propria, non hanno fatto di Rosarno soltanto un marginale teatro di scontri. Soprattutto hanno trasformato la città della Piana nell’epicentro degli effetti drammatici di alcune tra le più acute problematiche che agitano il mondo globalizzato. Quel che si definisce la modernità liquida dei nostri giorni per svariate ore ha scelto la Calabria per esplodere. La rabbia degli immigrati di Rosarno infatti, non è altro che l’impatto del globale ( che affida al mercato molte delle funzioni un tempo ri servate allo Stato nazionale) sul lo cale (in cui spesso c’è solo lo spazio per gestire le paure collettive). E quando due drammi sociali (uno mondiale e l’altro regionale) si scontrano violentemente, emerge tutta la debolezza degli Stati nazio nali nel fronteggiare fenomeni che sfuggono alla loro sovranità e, in specie, l’arcipelago di diaspore che contrassegna la nostra civiltà. La dimensione angusta di una regio ne come la Calabria, speronata da vetuste contraddizioni sociali e la sciata al suo destino dal Governo, ha fatto da sfondo alla dirompente fuga dai Paesi poveri del mondo. La dimensione critica quotidiana di questa regione del Sud è oscurata dai media nazionali e dalle Istitu zioni. L’Italia sa che è una regione a pezzi, ma si risponde: se la sbrogli come può. Senza capire che quando la bomba esplode, nessuno può con siderarsi al sicuro. Quei calabresi pigri, piagnoni e omertosi: si diano una mossa, risolvano da sé i loro problemi, non hanno coscienza ci vica e non denunciano la mafia. Un errore politico e culturale questa visione del problema. Idem l’oscu ramento della quotidianità cala brese. È nelle giornate ordinarie della Calabria, infatti, che cresce la rabbia degli africani trattati come schiavi dagli agricoltori della Pia na di Gioia Tauro. Nelle giornate ordinarie, inoltre, s’accresce lo sde gno dei calabresi del comprensorio che si muovono, a passi felpati, fra intimidazioni convincenti della ‘n drangheta, che qui ha il monopolio della forza, e la faccia burocratica di uno Stato lontano, che non dà ri sposte occupazionali, sanitarie, culturali. Quando salta il tappo del la sopportazione, o due mondi (gli immigrati e i locali) vicini fisica mente ma distanti in cultura e lin guaggi confliggono, scoppia la violenza. Due drammi sociali, l’im migrazione e l’emergenza sociale calabrese, non si sommano per in dirizzarsi contro le cause da cui ori ginano. L’istinto delle emergenze sbotta in gesti cruenti e non c’è me diazione che tenga. Accorrono i pompieri, quindi. Ma è tardi. Sic ché questioni eminentemente so ciali sono ridotte, nell’incapacità dello Stato e della politica d’incana larle in un progetto generale che abbia gambe su cui procedere, a fe nomeno di ordine pubblico da re primere. Come sempre: anziché la luna si guarda il dito. Non la ‘n drangheta e l’immigrazione sono i due corni del problema considera ti, ma l’immigrato da zittire e il cit tadino da riporre davanti alla tv che lo trastulli e lo rassereni. Lo Stato ha perso – lo spiega da tempo Zyg munt Bauman – l’utopia della solu zione dei problemi e cede alla tenta zione di esaurire ogni suo compito nello sforzo di “abolire gli incubi e le paure che attanagliano i cittadini”. Ci s’ interroga, così, sulle modalità della repressione non su quelle del l’integrazione. E un’idea sbagliata, la repressione, ma avvincente e coinvolgente. È in questo solco che l’ideologia della paura, su cui la Le ga punta l’intera sua posta politica, vince e stravince. L’italiano che as siste allo spettacolo, indegno di un Paese civile in cui centinaia d’im migrati sono trattati come animali, riceve dalla televisione una sola rassicurazione: quella della Lega, che propone l’espulsione dei clan destini, rei a priori e orrore delle fa miglie perbene. L’Italia democrati ca, che s’infervora per il decennale di Craxi, della politica liberista o statalista o entrambe mischiate, in vece non ha messaggi semplificati da inviare, che tengano a freno il peggio che si agita nella pancia del Paese in crisi. Non sa che fare. Im potenti, vista la grandezza del feno meno, le associazioni del volonta riato, la Caritas, i preti, i frastorna ti servizi sociali degli enti locali. Co sì un Paese sordo, che non ha la for za di leggere la realtà in rapida evo luzione e organizzare le risposte giuste, s’ affida al manganello e spera nei poliziotti. Il quadro che è sotto gli occhi è da studio. È accadu to altre volte, riaccadrà. Allo Stato, però, interessa solo tamponare la falla, un’altra volta si vedrà. I cala bresi, tra l’altro, neanche protesta no più. La protesta, infatti, è a cura degli africani non integrati. Ci sa rebbe da fare attenzione. Perché se si sommano le problematiche so ciali e di ordine pubblico, in un ter ritorio giù difficile, con l’ira degli immigrati sfruttati, la miscela è di quelle che sfonda ogni equilibrio sociale. Ci sarebbe da domandarsi cosa accade in questo mondo a roto li, in cui il vecchio ordine bipolare è soppiantato dal multipolarismo anarchico. Capire che Rosarno, per esempio, altro non è che un pezzo di mondo, prima che un lembo di Ca labria tralasciata, in cui la fame di quel miliardo di sottonutriti, di cui ci raccontano le statistiche di tanto in tanto, incrocia la delinquenza organizzata ma, siccome è una fa me disperata, la sua rabbia non ha freni inibitori neanche dinanzi alla violenza cupa della mafia. Il rischio è che la situazione sfugga di mano. Ma i problemi non sono separabili, ormai. In alcuni contesti, poi, lo si percepisce a occhio nudo. Immi grazione, sottosviluppo economi co, mafia e disorganizzazione am ministrativa. Serve poco, però, in questo caso, chiedere che il Gover no si dia una strategia complessiva per il Sud che non ha. A ben riflette re l’interrogativo è più inquietan te: Rosarno indica la possibilità che se gli Stati occidentali non si pon gono davvero il tema dello sviluppo equilibrato del pianeta, accadano sfracelli a ripetizione. La Lega gode a far da becchino al la democrazia italiana impotente, ma non capisce che quando l’onda diventa smisurata non risparmia nessuno.
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